26 novembre 2008
“Dietro la strage anche i Servizi Usa”
Corriere della Sera, 26 novembre
«Sullo sfondo di questa storia ci sono i servizi segreti italiani e americani»: eccola, la frase che riaccende la speranza di quanti il 28 maggio del ’74 persero i loro cari nell’ attentato di piazza della Loggia. Eccolo il tassello mancante, che per la prima volta non resta confinato alle congetture, alle ricerche storiche, ma varca la soglia di un’aula di giustizia. La frase la pronuncia Roberto Di Martino, che con il collega Francesco Piantoni sosterrà l’accusa contro 6 imputati per la bomba di piazza della Loggia.L’ennesimo assalto alla montagna della verità è partito ieri mattina: è la quarta inchiesta, è il decimo processo che tenta di fare luce a 34 anni di distanza dalla strage che uccise otto persone e ne ferì altre 100. Caduta la pista della cellula nera bresciana, caduta l’ipotesi dei bombaroli partiti da Milano (imputati tutti assolti nei precedenti processi), l’accusa stavolta propone una nuova tesi: la strage porta la firma di Ordine Nuovo e dei neofascisti veneti che ebbero sì agganci con alcuni estremisti di Brescia, ma soprattutto contarono sull’appoggio di apparati deviati dello Stato. Non a caso tra i sei imputati c’è anche il generale dei carabinieri Francesco Delfino, all’epoca dei fatti in servizio a Brescia, accusato addirittura di aver partecipato a riunioni in cui venne architettata la strage. E non a caso figura anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, ritenuto ispiratore della strategia. Con loro sul banco degli imputati (tutti assenti ieri) ci sono i neofascisti Delfo Zorzi (che si è rifatto una vita in Giappone e si fa chiamare Roy Hagen), Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte (l’unico detenuto, ma per reati finanziari non connessi alla strage) e Giovanni Maifredi.
L’impianto dell’ accusa si basa sulle confessioni dei pentiti Martino Siciliano e Giuseppe Digilio (quest’ultimo deceduto) e su una mole di carte che i pm hanno fatto entrare nel processo. Proprio replicando a una serie di eccezioni dei difensori – che volevano invece togliere dal fascicolo processuale buona parte di quei documenti – Di Martino e Piantoni hanno svelato il peso del servizi segreti nell’ inchiesta. «Emerge il ruolo – hanno sostenuto in aula – di un servizio segreto parallelo denominato “Anello”, particolarmente attivo negli anni 70. Stando ai contenuti di alcuni appunti quell’apparato avrebbe avuto a che fare con la strage». La struttura di Anello, secondo quanto sostiene Aldo Giannuli, già consulente della commissioni stragi e dell’inchiesta su piazza Fontana, compare nelle trattative per la liberazione dell’esponente dc Ciro Cirillo, nel rapimento del generale Dozier, nell’evasione di Kappler. A Brescia invece il generale Delfino avrebbe mantenuto contatti tra la struttura deviata e gli ambienti neofascisti.
«Ma altri personaggi entrati nella nostra inchiesta – ha proseguito Di Martino – sostengono di aver avuto rapporti con i servizi italiani e americani: ad esempio Digilio, Tramonte (la fonte "Tritone" dell’ ufficio affari riservati) e Maifredi». «È l’impianto accusatorio più convincente – commenta Manlio Milani, presidente dell’ associazione familiari delle vittime di piazza Loggia – perché finalmente compaiono anche elementi dello Stato; l’imputazione di Delfino è fondamentale». Milani, che 34 anni perse la moglie in piazza Loggia, non ha perso la voglia di lottare, di far sentire la sua presenza. Un po’ meno solerti sono stati ieri mattina altri elementi della società civile: solo verso mezzogiorno è arrivata in aula, in rappresentanza del Comune, l’assessore Paola Vilardi; della Cgil, che pure è parte civile, non c’era nessuno. «Ma seguiremo con attenzione il processo» fa sapere una nota diramata dalla segreteria del sindacato.
Claudio Del Frate