7 aprile 2009
Morte tra gli studenti «Da una settimana sentivamo scricchiolii»
Corriere della Sera, martedì 7 aprile 2009
«Lo vedi quel buco là sopra. E insomma mi sono detto: se mi butto posso morire, ma se non mi butto muoio di sicuro. E so’ zompato di sotto». Era nel suo letto Alessandro, con la valigia a portata di mano come tutti qui nella casa dello studente di via XX Settembre. Il terremoto lo ha buttato per terra. Lui ha fatto in tempo a rialzarsi e correre alla porta della sua stanza, la 109. Bloccata. Allora è andato alla finestra. Bloccata anche quella. Poi ha visto una strana luce dietro l’armadio di formica verde. Il buco, un grande buco aperto dal pavimento fino al soffitto: è da lì che si è buttato. Solo il primo piano, d’accordo. Ma con il fumo intorno, un mezzo cratere sotto di lui e gli allarmi che urlavano in tutta la città. Non ha perso tempo Alessandro, studente fuori sede di Lanciano. È rientrato nell’inferno dal quale era appena zompato fuori ed ha incominciato a scavare con le mani. «Da sotto le macerie sentivamo le urla» racconta adesso tremando anche se ha addosso il pigiama di flanella, il cappello nero di lana con il pon pon e la coperta marrone della Protezione civile.
Con lui, a scavare, c’era Luigi Alfonsi, 23 anni di Teramo. Lui è sceso per le scale, l’ala della sua stanza non è crollata. Studia Ingegneria civile Luigi, e per questo ha coordinato le prime fasi di questo soccorso fai-da-te andato avanti per un’ora buona. Mentre i vigili del fuoco tirano giù con le scale gli studenti rimasti intrappolati nei piani più alti, loro scavano, scavano senza fermarsi. Ma non riescono a portare fuori nessuno. Questo palazzo di cinque piani si è come seduto su se stesso. Un parte del piano terra non c’è più. Per fortuna lì non c’erano stanze, ma la sala studio, a quell’ora vuota. Nella tragedia è andata bene. In questo palazzo dormono di solito 120 studenti. Ma un po’ le vacanze di Pasqua un po’ la paura del terremoto che da settimane faceva scendere i ragazzi per strada tutte le sere, adesso ce n’erano solo una quarantina. «Tutte le sere sentivamo lo scosse e, dopo, anche strani scricchiolii», racconta Anna mentre i vigili del fuoco stanno tirando fuori vivo Piergiorgio, il portiere. «Noi li abbiamo anche chiamati, i vigili – dice ancora Anna – per dirgli dei rumori. Ma non ci rispondevano». Avevano tutti paura qui alla casa dello studente. Ogni sera si vedevano sotto, davanti alla Locanda dei sapori del parco e contavano quelli che per paura volevano tornare a casa, in Puglia, in Calabria, e in tutte le regioni del Sud da dove arrivano i 30 mila studenti di questa città. Proprio sabato sera Michelone aveva provato a sdrammatizzare. Lui – arabo di passaporto israeliano che di nome vero fa Essen – alle emergenze è abituato: «Ragazzi ma vi pare che io, abituato ai kamikaze, a Gaza, devo venire a morire qui in mezzo ai pastori?». Michelone adesso è sotto le macerie. Uno dei sei ragazzi ancora dispersi. Vivi ne hanno tirati fuori solo due. E adesso i sopravvissuti sono tutti qui, in questa piccola aiuola spartitraffico. Luigi Alfonsi, lo studente di ingegneria che ha coordinato la prima fase di soccorsi fai da te, guarda le travi che penzolano giù: «Quando le case le farò io le costruirò meglio, e che cavolo». Due metri più in là un vigile del fuoco si toglie la mascherina e gli dà ragione. Prende un pezzo di cemento armato e lo butta per terra: «Ma vi pare che si può spaccare così in mille pezzi? ‘Sto palazzo l’hanno fatto proprio di merda». Erano i primi anni 70 quando l’hanno costruito. L’epoca di quella speculazione facile che ha cementificato alla buona le periferia dell’Aquila e dell’Italia intera. Daniela fa finta di non sentire. Lei per la paura aveva fatto venire il suo ragazzo in camera sua. Forse è così che il suo Marco si è salvato perché proprio in quel piano dormivano tre dei dispersi. Adesso, e da ore, a scavare sono i vigili del fuoco. Comincia a piovere e, insieme alla pioggia, arriva da Roma una notizia che sembra un miracolo. Sei ragazzi tirati fuori vivi proprio dalla casa dello studente. Solo un errore, purtroppo. I vigili continuano a lavorare, ma da sotto le macerie non si sente più nulla. Giorgina, un piccolo bastardino dell’unità cinofila di Civitella Roveto, torna indietro con il muso triste. Ha annusato per tre ore in cerca di qualche segnale di vita. Nulla. Anche lei ha il muso tutto insanguinato.
Lorenzo Salvia