La Gazzetta dello Sport, 4 aprile 2012
Il tesoriere della Lega, Francesco Belsito, è nei guai per via di tre inchieste della magistratura che lo sospettano di appropriazione indebita, riciclaggio e truffa aggravata
Il tesoriere della Lega, Francesco Belsito, è nei guai per via di tre inchieste della magistratura che lo sospettano di appropriazione indebita, riciclaggio e truffa aggravata. Il problema, naturalmente, è se sia nei guai anche la Lega. Le tre inchieste fanno capo alle procure di Milano, di Napoli e di Reggio Calabria. Lunedì sera, in procura a Milano, i magistrati hanno tenuto una riunione operativa: c’erano l’aggiunto Robledo con i pm Filippini e Pellicano (Milano), Woodcock per il lato napoletano (l’altro pm partenopeo, Piscicelli, stava a Genova per supervisionare le perquisizioni in quella città), Giuseppe Lombardo per la dda calabrese. Ieri è poi scattata la perquisizione in via Bellerio, sede del Carroccio. Guardia di Finanza (per Milano), Direzione Investigativa Antimafia (Calabria) e Nucleo Operativo Ecologico (Napoli) hanno messo le mani soprattutto nei cassetti di questo Belsito, famoso anche per aver investito i soldi della Lega in Tanzania, facendoli girare per Cipro. Maroni ieri ne ha chiesto le dimissioni e così anche Matteo Salvini («chi sbaglia paga»). È possibile che i guai giudiziari di via Bellerio entrino nella partita tra cerchio magico (i bossiani più fedeli) e i maroniani. Per ora, alla radio e sul giornale, proclamando a gran voce che il partito è casomai parte lesa, i leghisti insinuano che l’offensiva giudiziaria sia stata pensata per colpirli elettoralmente, «strane tutte queste perquisizioni alla vigilia del voto». Siccome la magistratura milanese sospetta, tra l’altro, che Belsito abbia preso soldi del finanziamento pubblico per passarli alla famiglia Bossi, Berlusconi ha rilasciato una dichiarazione assai calda: «Chiunque conosca Umberto Bossi e la sua vita personale e politica non può essere neanche lontanamente sfiorato dal sospetto che abbia commesso alcunché di illecito. E in particolare per quanto riguarda il denaro della Lega, del movimento al quale ha dato tutto se stesso. Perciò esprimo a Umberto Bossi la mia più affettuosa vicinanza. Sono certo che tutto si chiarirà e che verrà provata l’assoluta estraneità di Umberto Bossi e della sua famiglia a qualsiasi ipotesi di reato». Stessi toni nelle dichiarazioni di Alfano. Notiamo comunque che l’ex premier e i suoi, certi su Bossi, non giurano sulla Lega. E che sono mancati, stavolta, i soliti attacchi alla magistratura. Il Senatùr fino ad ora non ha detto niente: è andato in via Bellerio a mezzogiorno, per presiedere una riunione, «scuro in volto», come hanno segnalato le agenzie. C’era anche Calderoli.
• Lei è in grado di farci capire di che stiamo parlando?
Speriamo. L’inchiesta meno confusa è quella di Milano. Sarebbe nata il 23 gennaio, quando un militante leghista si presentò in procura con una denuncia di poche righe, a cui erano allegati parecchi ritagli di giornale che parlavano dello strano investimento di Belsito in Tanzania. Era di turno il procuratore aggiunto Alberto Nobili, che passò la palla a Robledo, impegnato in accertamenti su reati connessi con la pubblica amministrazione e che aveva già messo nel mirino il Carroccio. I magistrati milanesi sospettano sostanzialmente due cose. La prima: Belsito ha preso i soldi del finanziamento pubblico e li ha adoperati «per sostenere i costi della famiglia Bossi», «esborsi effettuati per esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord. Esborsi in contante o con assegni circolari o attraverso contratti simulati. Tali atti di disposizione, in ipotesi non riconducibili agli interessi del partito e contrari ai suoi vincoli statutari, hanno carattere appropriativo» (così nel decreto di perquisizione). La seconda: Belsito non avrebbe presentato al Parlamento una documentazione corretta per incassare – lo scorso agosto - i 18 milioni di euro che sono stati versati al partito come rimborso elettorale. Sarebbe stato violato l’obbligo di rendicontazione con la revisione di sindaci nominati dal parlamento (atto che, ricorda la procura, «è momento fondamentale del procedimento di controllo pubblico»). Bruti Liberati, capo della procura milanese, ha detto che, in questo filone d’inchiesta, sono indagati anche Paolo Scala e Stefano Bonet, e l’ipotesi di reato è di truffa aggravata ai danni dello Stato.
• L’inchiesta napoletana?
Cioè Woodcock-Piscicelli, i due che indagavano a suo tempo Lavitola e Tarantini. Nel corso di un’intercettazione telefonica di questa inchiesta, sarebbe saltato fuori che Belsito trasferiva denaro all’estero attraverso una fiduciaria di Lugano, la Doge Sa. Tra le tante accuse a Lavitola-Tarantini c’era anche il riciclaggio, e anche qui il reato sarebbe il riciclaggio.
• L’inchiesta calabrese?
Fa perno su un carosello organizzato da Belsito (sempre secondo gli inquirenti, intendiamoci) che faceva perno sulla Siram (energie rinnovabili e servizi ambientali). È il solito giro di fatture che transitano all’estero per far maturare un credito d’imposta che poi si riscuote dal fisco italiano. La Siram, del gruppo francese Dalkia, mi pare piuttosto grossa per trucchi del genere, ma non si sa mai. In ogni caso, ricordiamoci che sono tutti innocenti fino a sentenza definitiva.
• Che dice Belsito?
«La contestazioni di finanziamento illecito non sussistono» parole pronunciate uscendo dalla sua casa di via Fiasella a Genova. Si riferiva evidentemente all’inchiesta milanese.
• E sulle altre due storie?
Sulle altre due storie niente. A Genova il pubblico ministero Piscicelli è andato a cercar prove perfino in casa del suo segretario.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4 aprile 2012]