La Gazzetta dello Sport, 24 marzo 2012
Il consiglio dei ministri, dopo una riunione di sei ore, ha deciso di affrontare la riforma del mercato del lavoro con un semplice disegno di legge «salvo intese», formula il cui significato è: ci riserviamo ancora un paio di giorni per varare il testo definitivo
Il consiglio dei ministri, dopo una riunione di sei ore, ha deciso di affrontare la riforma del mercato del lavoro con un semplice disegno di legge «salvo intese», formula il cui significato è: ci riserviamo ancora un paio di giorni per varare il testo definitivo.
• Il gran rumore dei giorni scorsi m’aveva fatto credere che la riforma fosse cosa fatta.
Ma no. La riforma sarebbe già in vigore (anzi sarebbe in vigore dal momento della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che sarebbe avvenuta – presumo – lunedì prossimo) se si fosse adottata la forma del decreto legge. Il decreto legge, lo strumento che permette ai governi di intervenire nelle situazioni d’emergenza, ha infatti immediatamente forza di legge e deve poi essere convertito da Camera e Senato entro 60 giorni. Se passano i 60 giorni, però, decade. Senonché, per una vecchia abitudine (una brutta abitudine), i governi possono «reiterarlo», cioè ripresentarlo tale e quale. Come lei sa, sia Prodi sia Berlusconi sia Monti hanno fatto largamente ricorso al decreto legge, anche in situazioni di urgenza assai dubbia, perché i tempi di approvazione di un disegno di legge per le vie normali sono biblici: un anno e mezzo, due anni e mezzo, qualche volta un’intera legislatura. E magari inutilmente, perché dopo un lungo palleggiamento tra le due assemblee il testo non si riesce ad approvare in tempo.
• Quindi, abbiamo scherzato.
Forse. Chi lo sa? Schifani ha detto ieri che si augura un’approvazione da parte del Senato (di cui è presidente) entro l’estate, cioè novanta giorni. In separata sede ha precisato che si farà ogni sforzo per fare uscire la riforma da palazzo Madama entro 120 giorni, cioè metà luglio. Lei capisce che, con poco sforzo da parte di chi la riforma non la vuole, si arriva ad agosto, che significa settembre-ottobre, quando però ci sono da varare i provvedimenti finanziari, il che fa logicamente presumere uno scavallamento a gennaio-febbraio, epoca in cui ci troveremo in piena campagna elettorale, con la fine della legislatura alle porte, il voto delle politiche e l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ragionando così, la riforma del mercato del lavoro sembra effettivamente già defunta.
• A meno che…?
Il voto di fiducia. Il governo, a un certo punto, vedendo che l’Idv, la Lega e mezzo Pd fanno il Vietnam (come preannunciato da Di Pietro), blocca tutto e mette la fiducia. Cadono tutti gli emendamenti, la legge passa così come il governo l’ha voluta. C’è una certa probabilità che succeda, perché se il governo dei tecnici si facesse impaniare dalle sabbie mobili delle manovre parlamentari perderebbe la sua stessa ragion d’essere. D’altra parte è sicuro che la Cgil sciopererà e manifesterà per premere sui senatori e sui deputati. È un aspetto interessante della battaglia: la Cgil ha ancora la forza di un tempo? Potrebbe portare un milione di persone in piazza come fece Cofferati dieci anni fa (anche allora si trattava dell’articolo 18, il cui killer voleva essere Berlusconi)? Sia il Pd che la Cgil hanno da qualche tempo trovato la formula delle molte manifestazioni di piazza in contemporanea, sistema che permette di nascondere l’effettiva partecipazione alla protesta. La sensazione è che la sconfitta del sindacato in tutta questa vicenda sia anche il risultato di una rappresentatività sempre più scarsa. C’è poi un altro elemento da considerare: il Pd e l’opposizione tenteranno di bloccare o di emendare il testo riavvicinandolo per quanto possibile alla dizione originaria dell’articolo 18, che vietava ogni licenziamento senza giusta causa. Ma anche il Pdl proverà a spostare a destra il senso della riforma: Alfano ha detto chiaramente che si può aumentare la cosiddetta “flessibilità in uscita”, cioè la facoltà da parte delle imprese di licenziare.
• Non si sarebbe potuto ricorrere alla famosa legge-delega?
È stato Napolitano a consigliare a Monti la massima prudenza. Il presidente sentiva il bisogno di una frenata, dopo le sparatorie (metaforiche) dei giorni scorsi. Con la legge delega il Parlamento avrebbe lasciato al governo la responsabilità di legiferare in materia. Non è però che l’iter sarebbe stato molto più corto. Alla fine, meglio così: c’è più chiarezza.
• Mettiamo che effettivamente Monti ponga la fiducia. Che farà Bersani?
L’idea generale è che il governo in questo caso sarebbe ad alto rischio di caduta. Io dico che bisognerà vedere in che momento Monti giocherà questa carta. Ci sono le amministrative e la sensazione è che i partiti riceveranno, in quell’occasione, una lezione molto severa. Può darsi che Monti punti anche su questo: toccando con mano la sfiducia degli italiani nei loro confronti, può darsi che i partiti vengano a più miti consigli anche sul tema del lavoro.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 24 marzo 2012]