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 2002  marzo 20 Mercoledì calendario

Interprete coraggioso della modernità

L’articolo con cui Dario Di Vico ha ricordato sul Corriere della Sera la figura di Marco Biagi, assassinato ieri sera a Bologna.

Corriere della Sera, 20 marzo 2002

Non era ancora conosciuto dal grande pubblico, ma tra gli addetti ai lavori Marco Biagi si era già imposto come una figura di assoluto rilievo. Cinquantadue anni, bolognese, docente di Diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, nel mondo politico e accademico Biagi era considerato a ragione un allievo di Tiziano Treu. Lui stesso, riordinando di recente dei materiali per una pubblicazione dell’ex ministro, raccontava il suo debutto da consulente del ministero del Lavoro come «un’esperienza davvero affascinante e irripetibile». Un’esperienza contrappuntata da alcune leggi importanti (il pacchetto Treu per incentivare l’occupazione), da alcuni «inevitabili compromessi» e da «amare delusioni», come la vicenda della proposta di legge sulle 35 ore che aveva portato alla «prematura conclusione» del governo Prodi. Sono anni in cui Biagi collabora con il suo ministro a stendere una proposta di cui si sta parlando moltissimo in questi giorni, «lo Statuto dei lavori», una rimodulazione delle tutele per dare maggiori garanzie all’universo dei lavori atipici, interinali e post-fordisti. Un testo - quello dello Statuto dei lavori - che, a detta dello stesso Biagi, «rappresenta probabilmente il tentativo di maggior respiro del progetto complessivo di riforma del diritto del lavoro a cui Treu ha messo mano».

Comincia in quegli anni la sua collaborazione con Il Sole 24 Ore, prima come articolista e via via fino a diventarne uno degli editorialisti di punta. Non è un caso che il quotidiano confindustriale proprio ieri avesse chiesto a lui di scrivere il fondo di prima pagina sulle scelte adottate dai governi europei nel recentissimo summit di Barcellona. La parola chiave per rileggere tutti i contributi che Biagi ha dato in questi anni alle tematiche del lavoro è modernizzazione. E proprio in nome di una nuova regolazione dei rapporti di lavoro che fosse al passo con la velocità del mercato Biagi, dopo quello con Treu (e una breve esperienza con il ministro Antonio Bassolino), ha avuto modo di stringere altri sodalizi politico-intellettuali che lo riporteranno a fare da consulente del dicastero del Lavoro, questa volta guidato non dal vecchio maestro ma dal leghista Roberto Maroni dentro una coalizione di centro-destra.

Figure importanti per capire questo itinerario sono Giuliano Cazzola, Maurizio Sacconi e Renato Brunetta. Cazzola, bolognese e socialista come Biagi, ha condiviso con lui molte battaglie difficili e spigolose che lo hanno portato sovente in rotta di collisione con il sindacato, segnatamente con la Cgil. Uno sui temi della previdenza, l’altro su quelli del mercato del lavoro, Cazzola e Biagi si sono assunti in tante occasioni il compito di dire le verità più scomode. E di mettere a nudo, senza timore, i ritardi più vistosi del movimento sindacale italiano. È stato Sacconi, ex dirigente del Psi prima e poi funzionario dell’Organizzazione internazionale del lavoro a chiedere a Biagi di tornare a collaborare con il governo. E il professore di Bologna lo ha fatto con la passione di sempre. Da riformista e da tecnico bipartisan. La stessa passione che aveva messo nel curare la parte giuridica del Patto di Milano, l’accordo tra il Comune e i sindacati che portò a una spaccatura con la Cgil che non volle firmare.

È targato Biagi il Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, la prima operazione di un certo spessore del ministro Maroni, che ha fatto da prologo alla stesura della delega sul lavoro. Sono stati Biagi e Sacconi a mettere a punto il primo dispositivo di modifica dello Statuto dei lavoratori, in particolare l’articolo 10 che propone una sperimentazione innovativa della disciplina dei licenziamenti senza giusta causa. E sono stati sempre loro due a introdurre, dopo il verdetto del congresso Uil, alcune modifiche al testo. Come quella tesa a favorire le assunzioni al Sud, che in un’intervista al Tg3 Biagi aveva definito «una via di mezzo», sottolineandone così il carattere di potenziale mediazione persino con la Cgil.

Nelle ultime settimane il ruolo e la visibilità del professore bolognese, allievo del giurista Federico Mancini, erano cresciuti ancora. L’Unione Industriali di Torino l’aveva voluto come relatore del convegno internazionale di fine febbraio nel quale Biagi aveva presentato il rapporto di una commissione sulle relazioni industriali creata nell’ambito Ue. «Non è più possibile - aveva detto - utilizzare schemi del passato. La struttura della contrattazione collettiva dovrebbe essere profondamente rivista e il principio base dovrebbe essere quello della sussidiarietà». E proprio nell’occasione torinese c’era stata una polemica diretta con Sergio Cofferati, che aveva rimproverato a Biagi di collaborare sia con il governo sia con la Confindustria. Era dovuto intervenire Maroni a smentire ufficialmente la circostanza e a derubricare la querelle. Anche in campo politico a Roma ci si cominciava ad accorgere del suo valore: la destra sociale di An aveva invitato Biagi a un convegno, non più tardi di un mese fa, per sentire dalla sua voce le ragioni che avevano portato il governo a mettere in campo una proposta così controversa come quella legata alla revisione dell’articolo 18. Schieratissimo, dunque, con i progetti del centro-destra, Biagi era riuscito però a conservare legami e apprezzamenti anche in campo avverso. Non solo come compagno di escursioni in bici del ristretto clan dei prodiani ma anche come collaboratore dell’Arel di Enrico Letta.

Dario Di Vico