20 marzo 2002
Tags : Marco Biagi
Ripiombati nel clima degli anni Settanta
• L’editoriale del direttore del Corriere della Sera pubblicato all’indomani dell’assassinio di Marco Biagi.
Corriere della Sera, 20 marzo 2002
In una tiepida sera di marzo siamo ripiombati, di colpo, nel clima opprimente degli anni Settanta. Tornati al secolo scorso. Come precipitati nel buio. Anni di follia che pensavamo consegnati per sempre all’incerta storia del nostro Paese. E il pensiero ripercorre velocemente una lunga lista di nomi. Interminabile. Alcuni ce li eravamo colpevolmente quasi dimenticati. Magistrati (da Alessandrini a Galli), docenti universitari (Bachelet), economisti (Tarantelli), politici (da Moro a Ruffilli), servitori dello Stato, carabinieri, poliziotti, dirigenti (Ghiglieno), sindacalisti (Rossa), giornalisti (Tobagi, Casalegno), caduti sul fronte del terrorismo. Ultimo, speravamo, tre anni fa, Massimo D’Antona, che abbiamo continuato a credere vittima di un colpo di coda ormai alimentato solo da pochissimi irriducibili.Non sono passati tanti anni, non siamo progrediti come Paese, non abbiamo vinto la nostra battaglia di civiltà, se c’è ancora qualcuno che pensa di risolvere i conflitti sociali troncando la vita di un apprezzato economista come Marco Biagi, che ha sostenuto, coraggiosamente, l’ultima volta ieri sul Sole 24 Ore, la necessità inderogabile, nel nostro Paese, di cambiare le regole del mercato del lavoro. Di fare le riforme, non sanguinose repressioni. Di cambiare, in senso moderno ed europeo, qualche legge, non di sgretolare con un colpo di maglio un ordinamento consolidato di diritti. Per pensare a moltiplicare i posti di lavoro, non i licenziamenti. Per sperimentare, come fece lui stesso con il patto del lavoro di Milano, nuove vie per dare occupazione più regolata agli immigrati, e quindi maggiore sicurezza sociale a tutti.Quanti pochi progressi ha fatto la nostra democrazia se c’è ancora chi scarica vigliaccamente delle pallottole contro un signore che se ne torna tranquillamente a casa in bicicletta nel centro di Bologna. In quella Bologna che fu nel ‘77 il crogiolo dell’Autonomia, rivisitata in questi giorni, con qualche benevolenza fuori luogo, da storici e commentatori. Dall’articolo 18 siamo tornati all’improvviso alla famigerata P 38.
L’allarme è stato sottovalutato se anche per un bersaglio come Marco Biagi, già minacciato, non era stata prevista alcuna scorta. I pericoli nascosti sotto traccia nel nostro Paese sono stati troppo a lungo rimossi se ancora ieri abbiamo assistito a parole lanciate come pietre, accuse fuori luogo, toni sovraeccitati e apocalittici, che il Corriere ha più volte e puntualmente criticato, in una linea di dialogo e di reciproca legittimazione fra le parti sociali e politiche che questo efferato delitto dovrebbe ripristinare subito. L’unica vera risposta al terrorismo, lo abbiamo imparato da quei sanguinosi anni, è questa. Fermezza e responsabilità. Non sospetti gratuiti di complicità morale o teorie ardite sulla provocazione, o peggio, sulla strategia della tensione. Se avremo imparato la lunga lezione del terrorismo che vide, anche di fronte alla prigionia di Moro, i sindacati e i partiti, dalla Dc al Pci, non cedere di un passo e torneremo a un dialogo civile, senza contrapposizioni violente, anche nelle parole, spesso di odio, di questi giorni, il tempo non sarà passato invano.
Biagi era consulente di un ministro di un governo di centrodestra come D’Antona lo era, nella medesima posizione, di un esecutivo di centrosinistra. Il terrorismo è una minaccia per tutti. Per la nostra democrazia che deve reagire unita, senza che nessuno coltivi meschini calcoli di parte. Risparmiandoci, se possibile, quelle vili neutralità che vent’anni fa si trasformarono in complicità di fatto. Così gli assassini di Biagi otterrebbero il risultato massimo. E lui morirebbe un’altra volta.
P.S. Sabato è prevista la grande e legittima manifestazione dei sindacati sull’articolo 18. Sarebbe meglio si trasformasse in una risposta corale, nessuno escluso, al terrorismo.
Ferruccio De Bortoli