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 2012  marzo 18 Domenica calendario

L’anno scorso – 18 marzo 2011 – annunciavamo l’inizio delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia

L’anno scorso – 18 marzo 2011 – annunciavamo l’inizio delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia. E oggi – 18 marzo 2012 – diamo conto della chiusura di quest’anno tricolore, celebrata ieri al Quirinale con una bella cerimonia a cui siamo stati invitati. Intanto però questi due 18 marzo ci tentano sul piano dei confronti: sono passati solo dodici mesi, ma le due Italie, quella di allora e quella di adesso, ci appaiono diversissime. Intanto un anno fa scrivemmo, per quasi tutta la settimana precedente l’anniversario, del terremoto giapponese (11 marzo 2011) e dei guai alla centrale di Fukushima. E subito dopo l’aniversario non cessammo di raccontare la guerra di Libia, che, cominciata in febbraio, viveva proprio in quei giorni uno dei suoi momenti culminanti. Ma intanto, proprio a ridosso del 18 marzo, Berlusconi aveva varato una riforma della giustizia in 18 articoli in cui si separavano le carriere dei magistrati e si introduceva la responsabilità civile dei magistrati. A Lampedusa c’erano più immigrati clandestini che abitanti e Maroni, ministro dell’Interno, prevedeva l’arrivo di 50 mila africani…

Sembra sul serio roba di un secolo fa. Ieri il Tg1 ha raccontato la storia del barcone approdato con cinque morti a Lampedusa alle 20 e 20, sarà stata la decima notizia…

Sembra un secolo. Lo strappo con Fini s’era già consumato, le difficoltà del governo erano evidenti, ma chi poteva immaginare quello che sarebbe successo di lì a poco, con lo “spread”? Ieri al Quirinale Benigni, nella simpatica rievocazione dei padri della patria, ha detto a un certo punto: «Una volta c’erano gli austriaci e il nemico si vedeva, ed Enrico Toti gli poteva tirare contro la stampella. Ma è difficile tirare qualcosa addosso allo spread!». Un anno fa non sapevamo nemmeno che cosa volesse dire la parola “spread”.

C’è un nesso tra questa sua sorprendente rievocazione degli ultimi dodici mesi e le celebrazioni del centocinquantenario?

Secondo me, Napolitano è stato aiutato nella scelta «delicatissima» (termine adoperato ieri) di formare un governo di non-eletti da una sensazione di compatezza del popolo italiano, per nulla intimidito dalle intemerate leghiste, peraltro prudenti, anzi ridotte al minimo indispensabile, dato che Bossi stava al governo. Le finestre delle città quest’anno si sono riempite di bandiere, e proprio grazie ai leghisti siamo stati costretti a non accettare il processo unitario come un dato definitivo e incontrovertibile, ma a ridiscuterlo in qualche modo da cima a fondo, ascoltando chi attaccava (da nord, ma soprattutto da sud), leggendo un sacco di articoli e di libri e celebrando tutto quello che c’era da celebrare, dato che oltre tutto stiamo seduti su una montagna di morti. Ora, il presidente, durante questi ultimi dodici mesi, ha percorso in lungo e in largo il paese per commemorare Cavour, Garibaldi e gli altri, e deve essersi fatto degli italiani un’idea meno sconfortante di quella a cui siamo indotti tante volte noi. Parlo dello spirito civico dei nostri concittadini, della loro stanchezza per le ultime aberrazioni del sistema, del recupero di un pezzo di storia di cui possiamo essere senz’altro orgogliosi (almeno fino alla morte di Cavour). Quindi, quando s’è trattato di chiamare i tecnici deve essersi sentito più sicuro di tanti altri che avevano viaggiato meno per la penisola.

Sensazione giusta o sbagliata?

Direi sensazione giusta, no? Nonostante ci abbia ammazzato di tasse, Monti e il suo governo godono di grande stima, la luna di miele sembra durare molto di più dei fatidici cento giorni e insomma, oltre allo spread, c’è anche un recupero di credibilità del gruppo dirigente. Napolitano ieri, dopo aver invocato  «comportamenti trasparenti sul piano della moralità», ha pure detto che la scelta di Monti deve servire a esaltare il ruolo della politica, cioè (traduciamo) a far recuperare ai politici la faccia che hanno malamente perduta.

• E quindi quello che succedeva dodici mesi fa ci sembra preistoria.

La sensazione generale è che stiamo vivendo un cambiamento epocale. I partiti sanno di doversi modificare profondamente, perché ciò che abbiamo visto negli ultimi anni non è più tollerabile. E la riforma dell’architettura dello Stato – decrepita e corrotta – arriverà. Ho l’impressione che il centocinquantenario, con le sue belle celebrazioni, abbia aiutato l’avvio di questa fase di crisi e di trasformazione.

• Che cosa ha detto Benigni?

Molto divertente. Voleva venire a cavallo. Il Quirinale è il palazzo più bello del mondo. È pronto a mettersi al servizio del presidente della Repubblica, in qualunque ruolo, basta che Napolitano lo chiami. Serve magari un settennato tecnico…?


[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 18 marzo 2012]