La Gazzetta dello Sport, 17 marzo 2012
La foto che gira in rete dei tre capi-partito Alfano-Bersani-Casini (ABC) seduti nell’ufficio del presidente del Consiglio mentre Mario Monti li sovrasta e li domina (foto ideata da Casini e mandata da lui stesso subito su twitter) vale più di un editoriale e significa che Monti, insediatosi alla vigilia di Natale, è arrivato a Pasqua addirittura più forte di prima: alto il consenso nel Paese (58-59 per cento, in base a quello che dicono tutti i sondaggisti), molto forte la credibilità internazionale, lo spread a 275 (quota toccata ieri), i partiti che disperatamente tentano di dimostrare di avere ancora qualcosa da dire e sostanzialmente non ci riescono
La foto che gira in rete dei tre capi-partito Alfano-Bersani-Casini (ABC) seduti nell’ufficio del presidente del Consiglio mentre Mario Monti li sovrasta e li domina (foto ideata da Casini e mandata da lui stesso subito su twitter) vale più di un editoriale e significa che Monti, insediatosi alla vigilia di Natale, è arrivato a Pasqua addirittura più forte di prima: alto il consenso nel Paese (58-59 per cento, in base a quello che dicono tutti i sondaggisti), molto forte la credibilità internazionale, lo spread a 275 (quota toccata ieri), i partiti che disperatamente tentano di dimostrare di avere ancora qualcosa da dire e sostanzialmente non ci riescono. Idem per quanto riguarda i sindacati: strapazzati al tempo della riforma delle pensioni, inseguono adesso il miraggio di un testo sulla riforma del lavoro che sia firmabile. Senza firma, i sindacati rischiano l’irrilevanza, firmando potrebbero perdere in certi casi la faccia. È il caso soprattutto della Cgil: s’è capito infatti che Bonanni e Angeletti firmeranno quasi qualunque cosa, riservandosi poi di impacchettarla nelle loro affabulazioni. Ma per Camusso il caso è diverso: Camusso ha dietro un sindacato dilaniato dai dubbi e inferocito dalle sberle di Marchionne. Perciò la segretaria della Cgil che mercoledì era contraria alle proposte Fornero e giovedì invece tranquillizzava tutti dicendo che ormai ci siamo, ieri ha preso di nuovo le distanze dalla faccenda, «non ci siamo, non ci siamo ancora…» eccetera eccetera.
• Sarebbe bello sapere di che stiamo parlando.
I giornali pubblicano testi su testi relativi all’accordo sulla riforma del lavoro e non tutti dicono la stessa cosa. Sembra che Monti-Fornero siano orientati a impedire il reintegro sul posto di lavoro dei licenziati per motivi economici. Altre indiscrezioni sostengono che il nuovo articolo 18 sarà cucinato in salsa tedesca: sarà il giudice a stabilire se il licenziato va reintegrato o risarcito, fermo restando che non potrai essere mandato via perché discriminato (colore della pelle ecc.). Badi bene, bisognerà poi leggere la formula precisa con cui quest’idea sarà descritta perché basterà un aggettivo, basterà un avverbio fatto cadere al punto giusto per dar modo agli avvocati di ingarbugliare il contenzioso fino a far diventare nero il bianco e bianco il nero.
• Con i politici sarebbe sicuramente stato così.
Con i tecnici di Monti non dovrebbe essere così. In ogni caso, mentre Monti riceveva i tre ABC – sei ore di trattativa – e li persuadeva sostanzialmente a lasciarlo fare (tranne per la Rai, nodo che sarà affrontato dopo le elezioni amministrative del 6-7 maggio), Camusso se la vedeva con i suoi in una riunione di sette ore aperta ai segretari territoriali e di categoria. C’era da chiarire prima di tutto una questione di calendario. Martedì prossimo il governo riceverà le parti sociali, mercoledì la Cgil riunirà il direttivo (il cosiddetto «parlamentino confederale»), venerdì il governo renderà pubblico il testo definitivo della riforma, che il sindacato e i partiti siano o no d’accordo. Questo testo avrà quasi sicuramente la forma del decreto e, anche se è presto per dirlo, passerà quasi sicuramente col voto di fiducia sia alla Camera che al Senato. Ora, questo essendo il calendario, martedì prossimo Camusso avrà o no il potere di firmare quello che le verrà proposto?
• Scommetto di no.
In realtà non si sa. È probabile che la guerra vera si combatterà la mattina dopo. Nella riunione di giovedì s’è avuto un assaggio di quello che potrà accadere. Landini (Fiom, cioè metalmeccanici, cioè gli opliti anti-Marchionne) ha detto subito che Camusso non ha il mandato per chiudere nessun accordo, non parliamo di Cremaschi, Rinaldini – quello che guidava la Fiom prima di Landini -: «Assistiamo a una degenazione della vita democratica», Cofferati, che dieci anni fa, a capo della Cgil, portò in piazza un milione di persone anche per bloccare interventi sull’articolo 18: «Se sono vere le cose che i giornali attribuiscono al ministero del Lavoro, quella è l’oggettiva cancellazione dell’articolo 18. La distinzione ipotizzata tra licenziamenti per motivi disciplinari ed economici non sta in piedi, perché nessun imprenditore dirà mai dirà mai di allontanare un lavoratore per motivi disciplinari, dirà sempre che è un problema di costi o di organizzazione». Quindi la Camusso, che prima di questa riunione s’era detta ottimista e fortemente possibilista, nelle dichiarazioni di ieri ha fatto marcia indietro. Fortemente marcia indietro.
• Che cosa ha detto?
Una lunga dichiarazione, il cui succo è: «Vedremo quali proposte saranno fatte: quelle sentite finora dal governo non ci convincono, e non vanno bene. C’è ancora della strada da fare».
• Bersani è d’accordo o no?
Bersani per ora si limita a dire che un accordo con le parti sociali ci vuole. Ma non ha ripetuto che, se non ci fosse, il Pd voterebbe contro.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 17 marzo 2012]