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 2012  marzo 15 Giovedì calendario

Ci sono queste anticipazioni sulla trattativa per la riforma del mercato del lavoro, diciamo “anticipazioni” e dovremmo dire “pettegolezzi”, “chiacchiere”, “scoop” discutibili, perché le altre volte le cosiddette anticipazioni dei giornali vennero poi quasi sempre regolarmente smentite dalle decisioni di Monti e dei suoi, i quali si videro addirittura imputare dai giornalisti “ripensamenti” o “marce indietro” senza che nessuno dei governanti avesse reso noti “pensamenti” o “marce avanti”

Ci sono queste anticipazioni sulla trattativa per la riforma del mercato del lavoro, diciamo “anticipazioni” e dovremmo dire “pettegolezzi”, “chiacchiere”, “scoop” discutibili, perché le altre volte le cosiddette anticipazioni dei giornali vennero poi quasi sempre regolarmente smentite dalle decisioni di Monti e dei suoi, i quali si videro addirittura imputare dai giornalisti “ripensamenti” o “marce indietro” senza che nessuno dei governanti avesse reso noti “pensamenti” o “marce avanti”. In ogni caso, leggendo i giornali di ieri mattina, che riferivano umori del giorno prima – cioè di martedì 13 marzo –, sembrava che il termometro fosse girato a burrasca, con il ministro Fornero che prometteva di non mettere sul tavolo la «paccata di miliardi» prevista se i sindacati si fossero messi di traverso e i sindacati che chiedevano «Quale paccata di miliardi? Nessun ministro o presidente del Consiglio finora ha pronunciato un solo numero». Le agenzie e le chiacchiere di ieri pomeriggio, di cui riferiamo tutti quanti stamattina, mostrano invece un clima improvvisamente rasserenato, i sindacalisti e la ministra Fornero – che si sono incontrati per cinque ore – hanno poi affollato gli spazi mediatici disponibili, tutti hanno dichiarato «È stato un incontro utile, abbiamo concordato con il governo che i contenuti di questa conversazione rimarranno patrimonio di chi li ha fatti» con la notizia che un altro appuntamento ci sarà nei prossimi giorni. Camusso non ha voluto dire altro con il buon argomento che «le trattative non si fanno sui giornali», poi è andata a parlare con quelli di La storia siamo noi definendo Elsa Fornero tenace, ma a volte un po’ arrogante, attaccando Veltroni («aveva annunciato progetti importanti per la sua esistenza che non ha portato a termine», vale a dire il trasloco in Africa) e infine ha confessato di aver paura che la figlia Alice, una volta andata all’estero, non torni più. In questa fase bisogna ascoltare soprattutto Bonanni, il quale ammette di essere portatore della linea più «responsabile», vale a dire è quello più pronto, rispettate certe condizioni minime, a mettersi d’accordo col governo. Bonanni, all’Italia sul 2 di Raidue, ha detto: «No a flessibilità “malata”, tipo Co.co.co. L’articolo 18 si può “ristrutturare” (altra volta aveva detto “manutenere” – ndr) come in Germania, dove il giudice decide in quattro e quattr’otto se ci sarà il reintegro nei casi gravi o il risarcimento nei casi meno gravi». Bonanni vuole mantenere l’articolo 18 solo per rintuzzare i licenziamenti discriminatori (ti caccio perché sei ebreo o perché sei sindacalista, fattispecie che capitò proprio a lui quando era giovane).

In definitiva, che cosa si sa di sicuro?

Di sicuro solo questo: che Fornero vuole chiudere entro il 23 marzo, cioè venerdì della settimana prossima. Sia il ministro che Monti, una decina di giorni fa, hanno ribadito che o il sindacato ci sta o il governo tira dritto per la sua strada. Su questa posizione sono arrivati i moniti di Napolitano e di Bersani, che ha minacciato di non votare il pacchetto se ci sarà un no del sindacato. Che dire però del no ribadito anche ieri sera da quelli di Rete Imprese, che raggruppano cinque organizzazioni di piccoli imprenditori equivalenti a due milioni e mezzo di microaziende? «A queste condizioni non firmiamo niente. La riforma così come ci è stata proposta costa a noi e al milione e 800 mila lavoratori che rappresentiamo, circa 1,2 miliardi in più all’anno, in aggiunta ai 2,7 miliardi di contributi già versati». Questo “no” deve valere meno di quelli sindacali, perché non ho visto nessuna dichiarazione di supporto da parte dei politici.

Perché bisognerebbe tirare fuori tutti questi soldi?

I giornali di ieri hanno scritto che il governo vuole togliere di mezzo la cassa integrazione e sostituirla con un assegno sociale da mille e cento euro da versare ai disoccupati per un anno. Il sindacato si oppone a quest’idea: per questo – dicono i giornali – ieri l’umore era cattivo.

• Perché si oppongono?

Se togli di mezzo la cassa integrazione riduci il ruolo di mediazione del sindacato. Se l’assegno è automatico, il sindacato che ci sta a fare?

E adesso in che modo il governo avrebbe cambiato idea?

Avrebbe cambiato idea rispetto a quello che hanno scritto ieri i giornali (vedi sopra). Camusso, dicendo che maturano «cose positive», ha aggiunto: «Mi pare che ci sia l’impegno per costruire tutele universali». Che cosa sono queste «tutele universali»? Le due paroline sembrerebbero significare che il sindacato ha aderito all’idea di Fornero, più che l’inverso.

• Perché dovrebbero aver aderito?

Se il governo tira dritto per la sua strada senza dar retta al sindacato (come ha fatto per le pensioni), per il sindacato è un certificato di morte. È quello che Bonanni tenta di far capire a tutti e che forse i suoi colleghi hanno capito.


[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 15 marzo 2012]