Rassegna, 6 marzo 2012
I marò in carcere, l’ira dell’Italia
• Il caso dei due marò italiani rischia di trasformarsi in un incidente diplomatico serio tra India e Italia dopo che ieri il tribunale di Kollam ha stabilito che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone fossero «consegnati» al carcere di Trivandrum per 15 giorni di custodia cautelare. Il sottosegretario agli Esteri italiano Staffan de Mistura si è però presentato nel penitenziario, a imposto ai due militari di non muoversi nella sala d’aspetto e ha intimato al direttore: «Io non me ne vado da qui fino a quando non si trova una sistemazione appropriata per i nostri militari. È inaccettabile che siano custoditi in un carcere insieme con detenuti comuni». Alla fine, in piena notte si è trovato un compromesso provvisorio: i due marò saranno alloggiati in una palazzina indipendente, ma sempre all’interno del carcere. Potranno restare in divisa e usare il telefono. Già oggi la diplomazia italiana riprenderà le pressioni per riportare i due militari nel «Police club» di Kollam, ultima residenza prima del trasferimento a Trivandrum. [Sarcina, Cds]
• Numa sulla Stampa racconta com’è andata l’udienza: «Ore 14,30, Kollam. La strada davanti al Police Club dove i marò sono detenuti da quattro giorni è piena di gente. Alle tre, nell’aula del Tribunale, c’è l’udienza che deciderà le loro sorte. I 14 giorni di fermo preventivo, passati nella guest house di Willingdom e la decrepita palazzina di Kollam, sono trascorsi. Fuori c’è una piccola folla, gente non ostile, molto curiosi di vedere i marò. Gli occhi bruciano per il fumo provocato da un cumulo di rifiuti incendiati. I giornalisti e le troupe tv aspettano che il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone escano dalle stanze dai muri bianchi di calce per essere trasferiti nel Tribunale, a tre chilometri di distanza. Eccoli: divisa mimetica in perfetto ordine, zaino sulle spalle, il Leone di San Marco sul basco, anfibi. Circondati dagli agenti in uniforme kaki della polizia di Kollam. Li fanno salire su una camionetta bianca, sotto la scorta di almeno una trentina di uomini in armi. La colonna di auto parte per il tribunale. Il cortile è una discarica con rottami di auto, rifiuti; il rivolo delle acque nere scorre vicino ai porticati. Anche qui, una folla, tenuta a distanza. Nell’aula una serie di panche allineate come in chiesa. Lo scranno del giudice è in fondo, sulla parete un ritratto di Gandhi, sulla sedia un lenzuolo bianco con i colori della bandiera indiana. Alle 16 suona il campanello e arriva il giudice. A destra, i delegati italiani, il console Cutillo, gli ufficiali del San Marco. A sinistra i giornalisti indiani e il pm. L’avvocato difensore Thaitu attacca a fondo, alza la voce, vuole che i soldati siano destinati non nel carcere ma in altre strutture. Primo, per il loro status di militari, secondo perché il processo è ancora in corso, terzo per ragioni di sicurezza dopo la campagna d’odio alimentata dai media e dai politici indiani impegnati nella campagna elettorale. Il pm si alza e si avvicina al giudice tenendo in mano il codice di procedure penale, aperto all’altezza dell’articolo che regola i tempi del fermo preventivo: periodo scaduto, non resta che il carcere, la legge non prevede alternative».
• Finora per i marò l’Italia ha mobilitato una decina di inviati: due esperti in balistica; il console a Mumbai e l’addetto militare dell’ambasciata che sono stati con i fucilieri; tre dirigenti di Esteri, Difesa e Giustizia. Dal 22 febbraio è in India il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura. [Caprara, Cds]
• Il governatore dello Stato del Kerala, Oommen Chandy, ha fiutato che il caso dei marò cade bene nella campagna elettorale in corso e non passa giorno che non citi le «prove schiaccianti» a carico degli italiani, esigendo una «punizione esemplare». [Sarcina, Cds]