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 1949  aprile 29 Venerdì calendario

Anche le detenute sfuggono Rina Fort

• «Isolata nella sua cella del carcere di San Vittore, non è facilmente visibile: la trista donna se ne sta preferibilmente nell’angolo più nascosto di essa. Del resto, nessuno la vuole avvicinare; il personale stesso e le altre detenute, alcune delle quali devono esse medesime rispondere di gravissime imputazioni, la fuggono come si fuggirebbe il lebbroso o l’appestato. (...) Dicono i carcerieri che non l’hanno sorpresa a piangere che qualche rara volta; ma non per il rimorso della strage commessa; bensì per qualche forte emicrania. Sempre silenziosa, non risponde che a monosillabi alle domande del personale o dei superiori, spesso senza neppure voltarsi e tenendo la fronte bassa e lo sguardo torvo, fisso sul pavimento. Una volta sola fu udita gridare, gridare come invasata, afferrandosi alle sbarre della cella, furente, i capelli scarmigliati, madida di sudore: “Le sue mani – urlava – quelle mani!”. Erano, nei suoi occhi, le mani di un uomo o le proprie? Da quel giorno più alcun segno, Rina Fort offri della sua irrompente frenesia. Soltanto una sera, circa una settimana fa, sull’imbrunire, proprio nell’ora in cui la campanella di San Vittore chiama alla preghiera, fu scorta dalla suora, nel suo angolo nascosto come in preda ad un’estasi religiosa: invocava, pregava; e lo faceva a cosi alta voce, con tale trasporto e tale fervore che tutti gli altri carcerati si fecero sulla soglia delle loro celle, il volto incollato alle sbarre. Alcuni giorni dopo, era corsa la voce che fosse impazzita. Un secondino si lasciò sfuggire una frase: “Rina Fort, piangendo come non ha fatto mai, ha detto tutto, dichiarandosi colpevole e pentita desiderosa soltanto di morire”. Fu interrogata. Ma l’Interrogante, a quanto è stato riferito, ha dovuto constatare che non era vero nulla. E ne fu profondamente deluso: era un religioso e aveva sperato, fino all’ultimo momento, che un’anima dannata fosse stata salvata per la redenzione del Cielo. Niente. Rina Fort, torturata da un terribile mal di denti, pregava la Madonna che glielo facesse passare o la uccidesse perché non ne poteva più. Più tardi, quando la nevralgia si placò, disse che non desiderava affatto di morire fiduciosa che, con l’“aiuto del Signore” e scontata la sua pena, avrebbe potuto “ritornare alla vita e fare rapidamente tanto bene per compensare l’immenso male di cui mi sono macchiata”». [Lincoln Cavicchioli Sta.Se. 30/8/1949]