figura, 16 novembre 2011
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Biografia di Enrico De Nicola
Napoli 9 novembre 1877 - Torre del Greco (Napoli) 1º ottobre 1959. Giurista, eletto deputato nel 1909 per la sinistra costituzionale, fu presidente della Camera (1920-1924); impegnatosi per la pacificazione tra socialisti e fascisti, nel ’22 fu per due volte presidente incaricato, ma non ebbe successo per l’opposizione dei popolari e dei giolittiani; dopo aver aderito al fascismo ed essere stato nominato senatore nel 1929, si ritirò dalla politica; alla caduta del regime, tra i promotori della soluzione della questione istituzionale che portò al passaggio di consegne tra Vittorio Emanuele III e il figlio Umberto; Capo dello stato provvisorio (1946-1948), poi presidente del Senato (1951-1952) e primo presidente della Corte Costituzionale (1956-1957) [Figura 1988] La presidenza Enrico De Nicola venne eletto capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946 con 396 voti su 501. Si presentò al Quirinale il 2 luglio, in macchina e quasi in incognito con la sua valigia di cuoio, unico bagaglio che pretese di portarsi da solo. Alla cerimonia si presentò con un’ora e mezzo di ritardo, senza scorta, i sei poliziotti in motocicletta che l’avevano accompagnato da Napoli furono licenziati da lui personalmente alle porte di Roma. Con lui, oltre all’autista, lo accompagnava un nipote. Per non dare l’idea di volersi sostituire al re in esilio si rifiutò di vivere al Quirinale («È la residenza di papi e di re») e scelse come sede Palazzo Giustiniani, soprannominato «La Tomba» perché non ci batte mai il sole («Ogni mattina al primo visitatore devo chiedere se fuori piove o fa il sole?» [Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 9/4/2013]). Rifiutò anche i 12 milioni di lire di appannaggio. Qui, il primo gennaio del 1948, firmò la Costituzione e diventò Capo dello Stato a pieno titolo. • Nel 1946, quando gli offrirono la poltrona di Capo dello Stato, lui aveva già rinunciato quattro volte ad essere presidente del Consiglio. E dunque disse di no anche quella volta, al prefetto di Napoli che era stato incaricato di verificarne la disponibilità. Si rintanò nella sua casa a Torre del Greco. Era tutti in attesa di sapere se avrebbe o no accettato («Onorevole De Nicola, decida di decidere se accetta di accettare» Manlio Lupinacci sul Giornale d’Italia). Solo quando lo chiamò il presidente dell’Assemblea costituente, Giuseppe Saragat, assicurandogli che c’era quasi l’unanimità sul suo nome, De Nicola finalmente accettò («Certo una maggioranza così larga è fondamentale non per la mia modesta persona che non la meriterebbe, ma per il prestigio della Repubblica»). Ebbe l’80 per cento dei voti. • L’anno dopo, il 25 giugno 1947, presentò le dimissioni: «ragioni di salute». Sebastiano Messina: «Era un problema serio, perché la Costituente non aveva il potere né di accettare né di respingere quelle dimissioni. E così rielesse lo stesso De Nicola. Il quale accettò, ma solo dopo che De Gasperi gli aveva assicurato ancora una volta “un coro di consensi” sul suo nome. Quando Terracini andò a comunicargli la votazione, lui rispose come Garibaldi: “Obbedisco”». [Sebastiano Messina, Rep. 3/5/2006] • Indro Montanelli: «Ci voleva un fine psicologo se non uno psicanalista, per cogliere nelle umbratili profondità di quel temperamento la sottile linea che divideva il rifiuto-rifiuto dal rifiuto semplice». • Rimase a palazzo Giustiniani fino al 10 maggio 1948, vigilia delle elezioni del nuovo presidente. Sergio Piscitello: «Si racconta che i suoi collaboratori, convinti della riconferma, gli allestirono prima del voto un piccolo appartamento al Quirinale. In camera da letto un dipinto religioso fatto venire da Torre del Greco e la sua testiera preferita, in ottone». [Sergio Piscitello, Gli inquilini del Quirinale, Bur Rizzoli 1999] • Giuseppe Marcenaro: «Se né andò alla svelta. Né vorrà tornare ad abitarvi nel 1951, quando il 28 aprile accettò la presidenza del Senato. Incarico da cui ovviamente si dimise il 24 giugno 1952» • Il 2 dicembre 1955 tornò a un’alta carica. Fece convincere il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi a nominarlo giudice della Corte costituzionale, di cui divenne ovviamente presidente dal 23 gennaio 1956 al 10 marzo 1957, quando, prevedibilmente, si dimise. • Morì a Torre del Greco, il 1° ottobre 1959. «Già influenzato aveva voluto a tutti i costi accompagnare fin al cancello, percorrendo il lungo viottolo della villa, l’onorevole Ferdinando Tambroni, ministro del Tesoro nel governo Segni, che era andato a ossequiarlo. Per don Enrico il formalismo mutò un forte raffreddore in fatale broncopolmonite». [Giuseppe Marcenaro, Il Foglio 13/4/2013] • Pare De Nicola scrisse a mano, su dei quaderni con la copertina nera, i primi accenni del nuovo cerimoniale dell’Italia Repubblicana: si trattava di regole sull’ordine di precedenza tra le varie cariche dello Stato, sul modo di ricevere gli ospiti, la distinzione di rango nei posti a tavola, e così via. Alcuni di quei precetti furono poi codificati nella famosa «circolare Andreotti» (26 Dicembre 1950), tuttora in vigore. [Sergio Piscitello, Gli inquilini del Quirinale, Bur Rizzoli 1999]
La carriera • La carriera politica di De Nicola si avviò alla fine di marzo del 1907. «Primo fra gli eletti al consiglio comunale di Napoli, rifiutò la carica di sindaco. Alle elezioni politiche del 7 e 14 marzo 1909, nella lista dei liberali, si presentò nella circoscrizione di Afragola. Ebbe una valanga di voti. Nel 1929, ancora in vita, ad Afragola gli fu dedicata una strada». • Nel novembre del 1913 Giolitti lo nominò sottosegretario alle Colonie; poi sottosegretario al Tesoro, dal gennaio al giugno 1919, nel governo Orlando; poi presidente della Giunta delle elezioni e infine presidente della Camera dei deputati, eletto il 26 giugno 1920. Riconfermato nella legislatura successiva. • Giuseppe Marcenaro: «Come Giolitti anche De Nicola aveva pensato si potesse “usare” il fascismo qual “pacificatore contro le gazzarre dei rossi”. Per farlo poi rientrare “nell’alveo della pratica istituzionale”. (...) Il vertice dell’ossequio di don Enrico per Mussolini fu toccato tuttavia la sera di sabato 21 luglio 1923. Annunciando la chiusura dei lavori parlamentari, invitando i deputati a recarsi in vacanza all’insegna della concordia nazionale, il capo del governo esortò i presenti a levare un applauso a De Nicola. E De Nicola andandogli incontro, commosso, baciò Mussolini sulle guance. Di quel bacio si vergognò sempre. Il fatto è riportato dalla rivista Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti (23 luglio 1923): «Contrariamente a quanto egli stesso ama prospettarsi, i discorsi di Mussolini piacciono a tutti, contentano tutti. Il bacio dell’on. De Nicola riassume questo consenso generale: e certo l’illustre presidente della Camera, dietro cui stanno generazioni di servitori della Corte borbonica e di scaccini antenati, l’avrebbe volentieri deposto, anziché sulla guancia, sulla mano, se l’on. Mussolini, con un cenno del capo, gli avesse fatto comprendere che i servitori devono baciare lì». [Giuseppe Marcenaro, Il Foglio 13/4/2013]
La vita • Figlio di Angelo De Nicola e Concetta Capranica. • A diciassette anni, uscito a pieni voti dal liceo classico Antonio Genovesi, fu ammesso alla facoltà di Legge a Napoli. • Scelse la carriera del penalista, e già a venticinque anni, a Napoli, era conosciuto soprattutto per i successi forensi. • Nel 1895 curava una rubrica quotidiana sull’attività giudiziaria per il Don Marzio. • Aveva un suo studio-abitazione, il Rettifilo, in corso Umberto I, numero 35. L’arredamento piccolo borghese rimase immutato negli anni. Giovanni Ansaldo, direttore del Mattino, lo vide il 10 luglio 1957: «È la prima volta che ci vado. Portico, scale, ingresso, tutto in uno stilaccio. Sulla porta una targhetta di ferro bianco smaltato: “Enrico De Nicola avvocato”. Si può dire che è una posa, che è un trucco, che è una mania, ma questa targhetta colpisce; essa contrasta molto con il vento che tira… Mi mena in un salotto d’angolo con poltrone orribili e infine attacca le sue rivelazioni…». • Non dava mai del «tu», vestiva abiti in doppiopetto grigio scuro. Il volto perennemente pensoso. • Una volta che non era più presidente, andò dal sarto per farsi rivoltare il cappotto. Il sarto restò così sorpreso che non si fece pagare: «Se un ex presidente della Repubblica ha bisogno di farsi rivoltare il cappotto, io non ho diritto di ricevere un compenso». Usava due boccette d’inchiostro, una per firmare gli atti ufficiali e l’altra, che acquistava di tasca sua, per la corrispondenza privata. Idem con Evita Perón, che s’era un po’ innamorata di lui (al termine di un banchetto lo definì un «Encantador»): gli aveva regalato un portasigarette d’oro con dedica e De Nicola, quando finì il mandato, lo lasciò allo Stato («Era un dono alla carica e non alla persona»). Superstiziosissimo: quando si comprava una borsa nuova subito sostituiva la fodera nuova con una sua fodera vecchia che gli portava bene. Non dormì all’idea che lo avrebbero eletto di venerdì. Lo nominarono fortunatamente di sabato. [Giorgio Dell’Arti, Vanity Fair] Di venerdì 17, non si alzava dal letto (una volta spostò addirittura al giorno dopo la firma di un importante trattato internazionale). [Gaetano Afeltra, Cds 13/6/2003]
Curiosità • «Certe sere, a palazzo Giustiniani, sede provvisoria della Presidenza della Repubblica, Enrico De Nicola arriva al punto di cucinarsi da solo un paio di uova al tegamino, come l’ultimo dei travet». [Filippo Ceccarelli, Lo stomaco della Repubblica, Longanesi, 2000] • Abitudine di Enrico De Nicola quella di comprare gli spumoni da “Fontana”, rinomata pasticceria napoletana tra la Riviera di Chiaia e Mergellina: golosissimo, ci si faceva portare in macchina per gustare quello chiamato «testa di moro». Un giorno l’autista piombò in pasticceria per dirgli che per evitare che un vigile multasse la sua auto in divieto di sosta, lui gli aveva detto che la macchina «era di De Nicola». Il presidente s’infuriò e lo spedì a pagare la contravvenzione perché «la legge è uguale per tutti, soprattutto per De Nicola». [Gaetano Afeltra, Cds 13/6/2003 pagina 35]. • Non fece mai neanche una raccomandazione. Marcenaro :«La negò anche alla sorella Anna quando gli chiese di intercedere perché il figlio Amedeo, di soli diciassette anni, destinato in trincea, nella guerra ’15-’18, venisse assegnato almeno alle retrovie. «È un momento in cui ciascuno deve fare il proprio dovere». La sorte volle che il nipote Amedeo fosse uno dei primi del suo reparto a cadere sul fronte di guerra. Alla madre consegnarono la medaglia d’argento al valore militare. All’intransigente zio restò il senso di colpa, che esorcizzò esponendo nello studio, per onorarne la memoria, il ritratto del nipote. Un improprio cilicio». [Giuseppe Marcenaro, Il Foglio 13/4/2013] • «Ero ragazzino e accompagnai mio padre all’Intendenza di finanza. Alla fila, proprio alle nostre spalle si accodò il presidente della Repubblica. Evidentemente qualcuno si accorse della sua presenza e dai piani superiori scesero i massimi dirigenti per agevolarlo. Ma De Nicola rispose: “io da qui non mi muovo, anche se devo aspettare del tempo, perché tanto più lunga è la fila tanto più è alto il grado di civiltà di un popolo”» (così ricorda Luciano De Crescenzo il presidente Enrico De Nicola) [Cds 14/2/1997] • Giuseppe Marcenaro: «Vittorio D’Aste insinua che De Nicola non abbia preso moglie per non assumere un impegno che non consente dimissioni: per non legarsi a un sì».[Giuseppe Marcenaro, Il Foglio 13/4/2013] • Nel 1998 un’inchiesta di Sette rivelava che il 72% dei giovani tra i 14 e i 24 anni ignoravano chi fosse Enrico De Nicola. [Sette 8/1/1998]