16 novembre 2011
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MONTI Mario
Varese 19 marzo 1943. Economista. Presidente del Consiglio (dal 16 novembre 2011). Dal 1989 al 1994 fu rettore dell’Università Bocconi, alla morte di Giovanni Spadolini ne divenne presidente (carica sospesa con l’ingresso a Palazzo Chigi). [1] “Professore nato”, ha studiato anche da amministratore in grandi società quotate in Borsa: Fiat, Generali, Banca commerciale italiana, dove arrivò fino alla carica di vicepresidente (1988-1990). Nel 1993 il premier incaricato Carlo Azeglio Ciampi lo avrebbe voluto a capo del ministero del Bilancio, ma lui, che avrebbe preferito il Tesoro, rifiutò. Dal 1994 al 2004 fu Commissario europeo (Mercati e Concorrenza) divenendo «il tecnocrate italiano più noto nel mondo dai tempi di Guido Carli» (Federico Rampini) [2] ed affermandosi come «il rappresentante di una tecnocrazia che ragiona su numeri e regole senza voler nulla concedere ai furori e ai sentimenti della piazza» (Pierluigi Battista). [3] Dal 9 novembre 2011 è senatore a vita.
Il ragazzo che ascoltava il mondo con la radio a onde corte
• I Monti, modenesi, si trasferirono a inizio Novecento a San Giuliano Milanese, dove il capofamiglia fu medico condotto ed ebbe una figlia, Lucia, finita in sposa a Raffaele Mattioli, dominus della Banca Commerciale. [4] Il nipote Gianni, padre di Mario, dirigente di banca «con una schizzinosa distanza dalla politica», sposò Lavinia Capra, casalinga «che aveva la dote dell’allegria» (Claudia, sorella maggiore, sarebbe diventata docente di Letteratura tedesca). Nel ’46 i Monti traslocarono a Milano. Tifoso del Milan, il giovane Mario si appassionò al ciclismo e prese a passare le notti ascoltando la radio ad onde corte: «Nel 1958 ho capito da parole in codice che era scoppiata la ribellione in Algeria. Nel 1960 ho sentito in diretta il discorso di insediamento di John Kennedy». [5]
Gli studi dai gesuiti, il viaggio in Urss col padre
• Monti frequentò il Liceo classico presso l’Istituto dei gesuiti Leone XIII: «Se ne accorse una volta anche il cancelliere Schroeder che alla fine di un’estenuante trattativa in cui io non potevo concedere ciò che voleva, mi chiese: “Lei ha studiato dai gesuiti? Sì? Ah, ecco perché argomenta, argomenta, argomenta e non concede mai niente”». Intorno ai 16-17 anni, il padre lo portò qualche settimana in Urss e poi negli Usa: «Voleva che mia sorella ed io ci facessimo un’idea personale delle due potenze. Funzionò, anche se mi procurò un piccolo infortunio con i gesuiti del mio liceo. Avevo apprezzato il sistema scolastico russo e lo avevo onestamente raccontato in un articolo per il giornalino “Giovinezza nostra”. Poco dopo mi arrivò una lettera del padre rettore: mi spiegava che aveva cestinato lo scritto perché avevo avuto un approccio ingenuo verso un sistema pericoloso sul piano etico. Lui aveva ragione, ma avevo ragione anch’io e strappai la lettera in un impeto di rabbia». [5]
La laurea alla Bocconi, gli incubi di Trento
• Nel ’61 Monti si iscrisse alla Bocconi (fece uno stage di un anno alla Comunità Europea). Laurea nel ’65, tesi sul bilancio revisionale della Cee, restò altri quattro anni nell’università milanese come assistente. Nel 1967 sposò Elsa Antonioli, dalla quale ebbe due figli, Federica e Giovanni. Professore ordinario dall’età di 33 anni, nel ’69 insegnò presso la facoltà di Sociologia all’Università di Trento: «Ero un docente e mi comportavo come tale. Capo del movimento era Marco Boato e ricordo che il primo giorno lui e altri leader studenteschi, che davano del tu ai docenti, dissero quasi incidentalmente: “Ah, naturalmente faremo l’esame politico a ognuno di voi”. Quella notte non ho mica dormito». Passato all’università di Torino, cominciò a partecipare a diverse Commissioni ministeriali su temi economici. [5]
Gli editoriali sul Corriere del “governatore ombra”
• Dall’85 direttore dell’Istituto di Economia politica della Bocconi, quattro anni dopo Monti fu nominato rettore, nel 1994, alla morte di Giovanni Spadolini, divenne presidente. Editorialista del “Corriere della Sera” («Neanche Gianni Agnelli riuscì a convincermi a scrivere per “La Stampa”. Gli dissi: “Vedrà che verrà prima lei al ‘Corriere’”. E poco dopo infatti lo comprò») [5], nella prima metà degli anni Novanta si guadagnò l’appellativo di “governatore-ombra” «per le bacchettate che somministra alla Banca d’Italia quando la giudica troppo accomodante nel finanziare i deficit pubblici della Prima Repubblica» (Rampini). Nel 1994 divenne Commissario europeo, «un riconoscimento che riceve senza dover dare prove di fedeltà, senza contrarre debiti politici, e per il quale il commissario conserva gratitudine a Berlusconi» (Rampini). [6]
La nomina al portafoglio sbagliato
• «Uomo di establishment» che sembrava «riassumere nel suo credo il principio-base della continuità espressa da ogni establishment: i governi passano, le istituzioni restano» (Battista), nessuno, a sinistra, ebbe da eccepire riguardo alla sua nomina. [3] «Cattolico praticante ma senza indulgenze verso i vizi della galassia ex-democristiana, più vicino alla cultura economica di Ugo La Malfa ma privo di affiliazioni partitiche», Monti pagò un prezzo per la scarsa rispettabilità internazionale del primo governo Berlusconi: «Il portafoglio della moneta unica, che gli spetterebbe, va invece a un diplomatico francese (de Silguy) senza competenza specifica. Monti deve accontentarsi del mercato unico, un portafoglio comunque importante per abbattere le barriere protezionistiche residue, sfidare i dirigismi nazionali e difendere i consumatori» (Rampini). [6]
“Les italiens”, i preferiti dell’Economist
• Monti arrivò a Bruxelles con Emma Bonino «“Les italiens”, li guardavano dall’alto in basso molti colleghi, anche per una mal celata invidia per i voti che continuamente la stampa anglosassone assegnava al duo italiano. Erano i preferiti dell’“Economist”: un bell’8 a lei, commissario per la pesca e gli aiuti umanitari dell’Unione europea, e 7 a lui che dirigeva la sezione “mercato unico”» (Il Foglio). Nel ’95 la Lega (Umberto Bossi in testa) propose Monti per la presidenza del Consiglio (poi andata a Lamberto Dini). Lui da Bruxelles s’inorgoglì: «È addirittura preoccupante il numero di persone che hanno fatto il mio nome». [7] Nell’ottobre del ’97 Berlusconi lo indicò come il candidato ideale a guidare l’Italia. Risposta: «Devo persistere nel mio impegno istituzionale per la costruzione europea». [8]
L’implacabile guardiano dell’Italia
• Nella seconda metà degli anni Novanta, Monti fu importantissimo nel ruolo di guardiano implacabile del comportamento dell’Italia, sottoposta agli esami di ammissione alla moneta unica: «Il 24 marzo ’98, quando la Commissione deve stilare le “pagelle” decisive per i paesi candidati, la voce di Monti in favore dell’Italia ha un peso inestimabile» (Rampini). Da Bruxelles contrastò i rischi del lassismo fiscale italiano: «A più riprese il commissario entra in frizione con i governi Dini e Prodi, ogniqualvolta avvista la tentazione di rinviare gli aggiustamenti sul deficit, di chiedere sconti sulle regole, di organizzare improbabili alleanze dei paesi latini per piegare la resistenza della Bundesbank» (Rampini). [8]
In equilibrio tra destra e sinistra
• Tecnocrate rigorista, interprete arcigno dei vincoli europei, impegnato a impedire che l’Italia ricadese nei vizi antichi della finanza allegra, inevitabilmente gli strali di Monti colpirono il centrosinistra, che in quel momento si trovava al governo: «Eppure Monti riesce a non farsi “iscrivere” a destra. Con Prodi a Palazzo Chigi le occasionali tensioni sono il frutto della diversa collocazione istituzionale. Monti si ostina a considerarsi un moderato super-partes, più utile al proprio paese senza affiliazioni politiche. Lo dimostrano la sua conferma per un secondo mandato a Bruxelles che gli arriva nel 1999 dal governo D’ Alema, e l’ottimo rapporto che si instaura con Prodi presidente della Commissione: ogni volta che Prodi subisce gli attacchi degli euroscettici (inclusa la destra italiana) Monti sta dalla sua parte» (Rampini). [2]
Gli anni di “Supermario”
• Nel 2001 Monti disse no a Berlusconi che gli proponeva di entrare nel suo governo come ministro degli Esteri: «Ufficialmente il commissario rifiuta l’invito per non troncare a metà strada la sua missione europea, ma accanto a questa motivazione reale c’è anche l’allergìa a scendere in campo in uno dei due schieramenti. Di quel primo rifiuto non si pentirà mai, anzi. Perché il secondo mandato europeo è proprio quello che gli riserva le maggiori soddisfazioni» (Rampini). [2] Come responsabile alla concorrenza, Monti dimostrò una nuova grinta. Prendendo in prestito il conio del “New York Times” che lo paragonava all’eroe inventato dal colosso giapponese dei videogiochi Nintendo, nel giugno 2001 una copertina del settimanale “Newsweek” lo trasformò in “SuperMario”. [7]
Un “poliziotto europeo” contro i monopoli americani
• «Poliziotto europeo dei monopoli» (“Newsweek”), Monti trovò da ridire su molti affari di aziende americane: bloccò la fusione di Mci WorldCom e Sprint, impose ad Aol Time Warner di vendere uno dei principali marchi musicali, mise il bastone fra le ruote nella fusione General Electric-Honeywell (una delle più grosse fusioni industriali della storia americana). SuperMario non si fermò neanche davanti all’incarnazione del sogno americano, quel Bill Gates che dal nulla aveva creato un impero: la Commissione europea stabilì che la Microsoft Corporation aveva violato le regole di concorrenza del trattato Ue, abusando della sua posizione di quasi monopolio sul mercato dei sistemi operativi per pc, e le comminò una multa di 497,2 milioni di euro, pari all’1,62 per cento del suo giro d’affari mondiale. [7]
La prima chiamata per salvare la patria
• Nel luglio 2004 il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, convinse il premier, Silvio Berlusconi, ad offrire a Monti la poltrona di ministro dell’Economia (il 4 luglio si era dimesso Giulio Tremonti). Di più: finanze pubbliche disastrate e credibilità internazionale del paese dilapidata, qualcuno pensò di offrirgli addirittura la presidenza del Consiglio in un governo tipo Ciampi ’93 o Dini ’95: «Monti confida alla cerchia degli intimi il dramma che sta vivendo. è sul punto di varcare una soglia che non ha mai varcato in vita sua. Come ministro nella poltrona più cruciale porterebbe in dote una credibilità internazionale di cui il governo Berlusconi è completamente sprovvisto. È per questo che Ciampi mette sulla bilancia tutto il peso della sua influenza e lo spinge a dire di sì» (Rampini). [2]
La mania superpartes
• Entrare nel governo Berlusconi avrebbe fatto perdere a Monti la sua immagine super-partes coltivata per anni con attenzione maniacale: «Soprattutto gli è chiara una cosa: se, con l’appoggio del Quirinale, lui resta se stesso, se Monti non tradisce Monti, dovrà applicare una politica di rigore che lo metterà in contrasto non solo con i sindacati ma sicuramente anche con la Lega, forse con An, in ultima istanza con Berlusconi. La finanza “creativa” per la quale Tremonti è stato silurato non era solo sua. Le promesse populistiche di riduzione della pressione fiscale che Berlusconi ha elargito, sono agli antipodi del Monti-pensiero. È su questi nodi di contenuto che si svolge tra Bruxelles, palazzo Chigi e il Quirinale l’ultima convulsa trattativa. Monti vuole garanzie d’acciaio sui poteri che avrà, sulla serietà dell’impegno a risanare i conti pubblici, a imprimere una svolta nella disastrosa politica economica di questo governo. Il rischio, lui lo conosce: è che Berlusconi gli dica di sì su tutto, adesso, perché ha bisogno di lui. Salvo tradire le promesse mese dopo mese» (Rampini). [2]
Il no a Berlusconi e l’addio a Bruxelles
• Nel luglio 2004 Monti non entrò nel governo Berlusconi. Raccontò un anno dopo a Stefania Rossini: «Vengo invitato a cena a Macherio per discutere la proposta. In una conversazione molto approfondita emerge che io considero prioritario non ridurre l’Irpef mentre il presidente del Consiglio ritiene il contrario. Con molta serenità arriviamo alla conclusione che, per fare un contratto con me, lui non può rompere il suo contratto con gli italiani. Sono convinto che sia necessario essere molto esigenti sulle condizioni in modo che poi, ove capiti, si possano fare le cose bene e con forza» [5]. Monti dovette comunque lasciare Bruxelles: «Avevo confermato la mia disponibilità. Sarei stato lieto di continuare a impegnarmi con determinazione per un’economia europea più libera e competitiva e per incisive riforme economiche, intervenendo contro distorsioni, restrizioni corporative e abusi, anche quelli praticati dagli Stati più potenti». [2]
L’eterno candidato
• Lasciata Bruxelles, Monti entrò in una nuova fase: «Quando prende la parola, si alza sempre qualcuno e dice: “Eccolo, si propone”». Nel gennaio 2005 il presidente della Bocconi scrisse un fondo sul “Corriere della Sera” alludendo a un patto tra il centrosinistra riformista e la Confindustria montezemoliana, «una splendida occasione per un governo che si sentisse davvero liberale»: «Il giorno dopo, non appagati dalla tirata antiCav., da sinistra gli danno dell’aspirante candidato premier al posto di Romano Prodi» [9]. Il 21 agosto 2005, intervistato da Ugo Magri per “La Stampa”, Monti espresse sfiducia nelle capacità del centro destra e del centro sinistra di far progredire il Paese verso una moderna economia di mercato. Conclusione: «Forse un Centro, se esistesse, avrebbe una più credibile affinità con un progetto di questo genere».
Niente Bankitalia, niente Quirinale
• Candidato alla guida della Banca d’Italia, nel dicembre 2005 Monti fu bocciato dal governo di centro-destra perché giudicato «troppo prodiano» (a via Nazionale finì Mario Draghi). In quelle settimane, la nomina a consulente internazionale della banca d’affari americana Goldman Sachs suonò a molti come il segnale di un possibile disimpegno politico. [10] Il 5 maggio 2006 un editoriale dell’“Avvenire” a firma Marco Tarquinio lanciò la sua candidatura a presidente della Repubblica («è una personalità espressione non di un “ceto di partito” bensì di un “ceto politico” assai più ampio e inclusivo, incarnerebbe a pieno la figura del “presidente-garante”»), cosa già fatta nell’aprile dello stesso anno da Alfredo Ambrosetti, organizzatore degli annuali workshop di Villa d’Este a Cernobbio (sul lago di Como). Come si sa, alla fine fu eletto Giorgio Napolitano.
Una raffica di cariche internazionali
• Nell’agosto 2007 il presidente francese Nicolas Sarkozy inserì Monti tra le sette personalità straniere chiamate a far parte della Commissione per la «liberazione della crescita» guidata da Jacques Attali: «Liberazione è una parola ancora più evocativa di liberalizzazione. Dà l’idea di un Prometeo da svincolare», disse nell’accettare l’invito. [11] Nel settembre dello stesso anno fu uno dei quattro coordinatori scelti dall’Unione europea per rilanciare la costruzione delle reti energetiche del Vecchio continente. [12] Nell’ottobre 2009 la Commissione europea lo incaricò della «missione di preparare un rapporto con opzioni e raccomandazioni per un’iniziativa atta a rilanciare il mercato unico come obiettivo strategico e centrale della nuova Commissione». [13]
La marcia verso Palazzo Chigi
• Dopo che aveva scritto un articolo sulla crisi dei mercati per la versione online del “Financial Times” («Perché l’Italia e non la Spagna? Tutta colpa della commedia all’italiana»), il 2 agosto 2011 Ft Deutschland ne caldeggiò la nomina a premier: «Asciutto, obiettivo, minuzioso, ligio alle regole e un po’ rigido, Monti ha tutte le qualità che mancano a Berlusconi». Intervistato a “Tg5 numeri in chiaro”, l’8 agosto Monti dichiarò: «L’emergenza spero venga presto superata, di una mia chiamata spero proprio che non ci sia bisogno». Il 2 settembre, interpellato da “Repubblica”, definì la manovra «pasticciata», quanto all’idea di un cambio di governò minimizzò: «Mi limito a dire che non mi sembra che sia in discussione». A fine ottobre, l’economista francese Alain Minc, consigliere del presidente Nicolas Sarkozy, dichiaro: «Soffrite di un deficit di credibilità. Non rimane che sperare che la Provvidenza cambi la leadership italiana, sostituendo Berlusconi con Mario Monti». [14]
Un governo tecnico da record
• Un giorno dopo la caduta del quarto governo Berlusconi, il 13 novembre 2011 il presidente Napolitano conferì a Monti l’incarico di formare il 61° governo nella storia della Repubblica, che fu presentato il 16 novembre (tenne per sé il ministero dell’Economia e delle Finanze ceduto l’11 luglio 2012 a Vittorio Grilli). Fiducia record il 17 novembre al Senato (281 sì, 25 no - la Lega - nessun astenuto) e il 18 alla Camera (556 sì, 61 no, nessun astenuto) il neopremier riservò alla nazione il seguente messaggio: «So che la crisi economica, sociale e politica è dovuta a gravissimi vizi di funzionamento delle istituzioni finanziarie e dei mercati, ma credo che la prima cosa da fare, e lo dico in particolare agli italiani, è abituarsi a trovare meno facilmente le responsabilità negli altri». Lo stesso 18 novembre, incontrato all’aeroporto di Fiumicino il Pontefice in partenza per l’Africa, gli spiegò: «Santità, stiamo provando a far ripartire il Paese». [15]
Monti, presidente del Consiglio
• Il 16 novembre 2011 accetta l’incarico di presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana e allo stesso tempo ricopre la carica di ministro ad interim dell’Economia e delle finanze (che lascierà l’11 luglio 2012 a Vittorio Grilli). Il 21 dicembre, «dopo neanche un anno di mandato, rassegna le sue dimissioni e il 28, dopo neanche una settimana, annuncia la sua candidatura» alle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 con la coalizione centrista «Con Monti per L’Italia».
Note: [1] Corriere della Sera 14/10/2010; [2] Federico Rampini, la Repubblica 24/7/2004; [3] Pierluigi Battista, La Stampa 5/3/2002; [4] Giancarlo Galli, Avvenire, 5/5/2006; [5] Stefania Rossini, L’espresso 30/6/2005; [6] Federico Rampini, la Repubblica 19/7/2004; [7] Il Foglio 25/3/2004; [8] Federico Rampini, la Repubblica 24/7/2011; [9] Il Foglio 1/11/2006; [10] Paolo Baroni, La Stampa 6/5/2006; [11] Federico Fubini, Corriere della Sera 25/8/2007; [12] Alberto d’Argenio, la Repubblica 5/9/2007; [13] Luigi Offeddu, Corriere della Sera 21/10/2009; [14] Anais Ginori, la Repubblica 26/10/2011; [15] Alberto D’Argenio, la Repubblica 19/11/2011; Marco Ansaldo, la Repubblica 19/11/2011.