9 novembre 1977
“Chiudere i covi delle Br non è liberticida”
• L’articolo di Carlo Casalegno pubblicato questa mattina in prima pagina sulla Stampa. “Terrorismo e chiusura dei
covi” il titolo.
Mercoledì 9 novembre 1977
Ventiquattr’ore dopo la perquisizione e la chiusura di tre sedi degli Autonomi, in Roma e in Torino, un gruppo di brigatisti rossi milanesi ha colpito alle gambe un dirigente dell’Alfa Romeo. Tra i due avvenimenti non sembra esistere un rapporto diretto; e forse neppure tra le due organizzazioni. L’attentato di Milano non è una rappresaglia; è uno tra i tanti gesti d’intimidazione terroristica che le Br, coperte da una rigorosa clandestinità, stanno metodicamente eseguendo contro capifabbrica, giornalisti, funzionari, politici di medio rango, per seminare paura e per avvilire le vittime: nei colpi alle gambe c’è qualcosa dello sfregio mafioso. Né finora sono stati scoperti, tra i terroristi e il Movimento, collegamenti operativi; del resto, sarebbero pericolosi per un’organizzazione che trae la sua forza dal segreto e dall’impenetrabilità.Esistono tuttavia, tra il terrorismo e le formazioni eversive dell’estrema sinistra, rapporti indiretti e un’obbiettiva complicità. Br, Nap, Prima linea con l’azione armata clandestina, i fanatici dell’ultrasinistra con i cortei violenti, i sabotaggi, le spedizioni squadristiche, la pratica organizzata dell’illegalità conducono, utilizzando mezzi diversi, una stessa guerra alle istituzioni, ai princìpi della convivenza civile, a interessi primari, politici ed economici, della collettività. E le organizzazioni oltranziste non clandestine offrono al terrorismo una solidarietà dichiarata, anche se talvolta critica; una copertura psicologica, una vasta schiera di giovani combattivi, tra cui poter trarre nuove reclute. Non per caso Br e Autonomi hanno le stesse radici politiche, la stessa matrice ideologica: nascono, le une e gli altri, dall’esperienza di Potere operaio.
Ciò che accresce i danni e la minaccia della violenza politica in Italia è proprio il cumularsi, con effetto moltiplicatore, di due fenomeni: al terrorismo, rosso e nero, si aggiunge un duplice squadrismo, d’estrema destra e d’estrema sinistra, che nel nostro Paese ha assunto proporzioni sconosciute nel resto dell’Occidente. La guerra a formazioni terroristiche clandestine (anche se prive di complicità in «corpi separati» dello Stato) è molto difficile, come sanno irlandesi e tedeschi; e i successi della repressione non bastano per sperare in una vittoria definitiva su bande sostenute da appoggi internazionali. Ma anche la più aperta delle democrazie può battere lo squadrismo, se esiste la volontà politica di applicare la legge penale. La chiusura dei «covi», in Roma e in Torino, indica la fine di una troppo lunga immunità per la violenza organizzata?
Non è ragionevole pensare che la polizia abbia deciso di propria iniziativa d’intervenire contro le sedi romane e torinese di Autonomia; fra l’altro, troppe sue inchieste e denunce erano cadute nel vuoto per la prudenza della magistratura. La decisione è del governo; e sembra maturata nel clima d’allarme delle ultime settimane, dopo gli attentati a catena contro rappresentanti della Dc e le giustificate pressioni dei gruppi parlamentari.
Né si può gridare all’abuso di potere, allo scandalo, alla provocazione, come fa II Manifesto, per il fatto che gli agenti non abbiano trovato nei «covi» armi o piani di guerriglia: anche i militanti più sprovveduti avrebbero fatto scomparire in tempo il materiale compromettente da sedi ben note come centri di sovversione. Più che i risultati delle perquisizioni, conta una verità accertata negli anni: nelle sedi di Autonomia, e soprattutto in via dei Volsci, si organizzavano cortei programmati per la violenza, azioni del «partito armato», operazioni di sabotaggio al Policlinico o all’Università, campagne illegali di «esproprio proletario».
La legge dell’8 agosto, che consente la chiusura dei «covi», non è liberticida; dispone che le misure di polizia siano convalidate (o annullate) in tempo breve dall’autorità giudiziaria, e colpisce i reati, non le opinioni. Il controllo indipendente della magistratura è un’indispensabile garanzia democratica; ma si deve sperare che finiscano la distrazione o l’indulgenza che hanno assicurato ai guerriglieri anni d’immunità e intangibili santuari: come hanno sperimentato sulla loro pelle, per esempio, i malati del Policlinico di Roma. Né il diritto alla libertà d’opinione può essere esteso fino a tollerare l’apologia dello scontro con le molotov e le P 38, che Pifano, il leader degli Autonomi romani, giustificava dichiarand «Siamo in guerra, e in guerra vince chi spara per primo». Parole e fatti dei militanti autorizzano le decine di denunce per costituzione di banda armata.
Nei prossimi giorni, il problema dell’ordine pubblico sarà discusso dal governo e in varie sedi politiche; torneranno, sotto l’impulso della paura e dello sdegno per l’ininterrotta catena di atti terroristici, le proposte di misure d’emergenza. Sono quasi tutte inutili, inquietanti o superflue. Le leggi già in vigore offrono tutti i mezzi necessari per combattere l’eversione, purché siano applicate con risolutezza imparziale contro tutti i violenti e i loro complici, e per tutti i reati: anche contro le intimidazioni e le devastazioni finora tollerate per amor di pace o per timore d’incidenti più gravi. Più che l’arsenale legislativo, occorre rafforzare le strutture della polizia, e ridare vita sollecitamente a servizi d’informazione controllati ma efficienti: sono uno strumento difensivo di cui nessuno Stato può privarsi, e che in Italia dopo la crisi del Sid non si è ancora ricostruito.
Carlo Casalegno