14 settembre 2011
Tags : Piercamillo Davigo
Biografia di Piercamillo Davigo
• Candia Lomellina (Pavia) 20 ottobre 1950. Magistrato. Era nel pool di Mani Pulite. Dal 28 giugno 2005 è consigliere della Corte di Cassazione. Dal 9 aprile 2016 presidente dell’Anm. «L’unica riforma non inutile della giustizia è che lo Stato smetta di favorire i colpevoli».
• «Vengo da una famiglia di piccola borghesia: mio nonno materno era un segretario comunale, mio padre rappresentante di commercio, mia mamma lavorava alla Stipel, l’antenata della Sip. Una situazione, quindi, che mi ha consentito di fare l’università, anche mantenendomi agli studi, ma non mi avrebbe consentito di restare fino a quarant’anni anni senza trovare un lavoro. Ho svolto il servizio militare come ufficiale. Anche queste cose contano, ci sono alcuni punti in comune tra il magistrato e il militare, l’uno e l’altro sono al servizio dello Stato, e l’uno e l’altro impiegano la forza. Poi andai a lavorare all’Unione Industriale di Torino, in Confindustria, dove mi occupavo di relazioni sindacali. Facevo, cioè, il sindacalista dei padroni. Anche per questo, quando sento parlare di “toghe rosse” mi viene da sorridere… (...) Entrai in magistratura nel 1978, a cavallo tra il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. Ho il ricordo di uno Stato che sembrava non esserci più. Vedevo il palazzo di Giustizia in stato di assedio, circondato da centinaia di carabinieri, il filo spinato, i cani lupo, tiratori scelti sui tetti… Iniziai il tirocinio a Milano. Uno dei magistrati a cui fui assegnato come uditore era Emilio Alessandrini, uno dei primi giudici istruttori ai quali indirizzai una requisitoria che avevo minutato era Guido Galli» (da un’intervista a Mariantonietta Colimberti).
• In servizio dal ’78, primo caso importante «l’ufficio Iva di Pavia. Vennero arrestati 29 impiegati su 30 che componevano l’ufficio», si occupò tra l’altro del processo contro il boss Angelo Epaminonda. Divenuto «uno dei più brillanti e pungenti esponenti della Procura di Milano» (Sergio Romano), sollecitato da Gerardo D’Ambrosio, il 23 maggio 1992 entrò nel pool Mani Pulite: «Lo ammetto con un po’ di vergogna. Pensai: “Qui si passano un sacco di guai”. Ma il giorno in cui dovevo dare la mia risposta ci fu la strage di Capaci, e mi pentii moltissimo di aver pensato di dire di no». «Il più ruvido fra i magistrati del pool» (Maurizio Tortorella), “mente” «che scriveva materialmente le rogatorie laddove Antonio Di Pietro era il braccio investigativo» (Dario Di Vico), noto come “il dottor Sottile” che smentiva ogni virgolettato («se appaiono mie frasi su un giornale, sono pronto a smentirle fin da ora»), gli attribuirono l’intenzione di voler «ribaltare l’Italia come un calzino»: «Non l’ho detto io. Lo disse Giuliano Ferrara. Il quale poi ebbe l’impudenza di sostenere che l’avevo detto io. È finita con una querela».
• Per anni fu oggetto di attacchi furibondi: «Dal ’93 al ’98 ho sporto più di ottanta querele. Nessuna prima e nessuna dopo. Prima ero buono, poi cattivissimo e poi sono tornato buono? Evidentemente ero oggetto di attacchi furiosi per i processi che facevo. Ricordo una trasmissione in cui si sosteneva che io ricattavo il presidente di una sezione del tribunale di Milano per far condannare degli imputati. Sullo sfondo un quadro con due maiali in toga abbracciati e un coltello insanguinato» (da un’intervista di Claudio Sabelli Fioretti).
• All’inizio del 2015 ha lasciato Magistratura Indipendente (Mi) per fondare una nuova corrente: Autonomia e Indipendenza, «due termini che qualificano la magistratura nella nostra Costituzione».
• «Non è come formazione un magistrato di sinistra. Non è un ambizioso carrierista politico. Non è mai stato in ballo come portabandiera, come parlamentare, come sindaco, come ministro, come capo partito. In questi lunghi anni sono stati altri a gridare il loro “resistere resistere resistere”, altri a imbrancarsi nei gruppi parlamentari, altri a proporsi come ministri e leader più o meno telegenici, altri a correre da sindaco o a organizzare partiti. Mentre i Di Pietro, gli Ingroia, i De Magistris e numerosi apparentati giravano sulla giostra, il dottor Davigo compiva la sua carriera professionale di vincitore di concorso. Ora la sua elezione alla guida dell’associazione dei magistrati, e il suo stesso discorso di insediamento sul rapporto tra magistrati e governo, ha tutto il sapore di una chiamata in servizio. Davigo è il grande riservista di cui c’è bisogno in un momento difficile della guerra intorno alla giustizia e alla politica. (…) Davigo non è affatto uno stupido e alla lunga si è rivelato come un togato tenace più di chiunque altro nella difesa del suo ruolo e del suo giuoco di ruolo. Può anche essere che voglia ridimensionare, ricalibrare, rimettere con i piedi per terra e la testa in aria gli astratti furori che hanno portato tanti come lui a uno scontro belluino con i politici eletti. Ma non ne sarei tanto sicuro. Lo ricordo come un ideologo aspro e intransigente non solo e non tanto della legalità, che è la materia degli uomini di legge, ma del “controllo di legalità”, che è l’ideologia della supplenza istituzionale e politica delegata alle procure nel passaggio traumatico da una Repubblica dei partiti a un’altra forma di stato restata per lo più indefinita» (Giuliano Ferrara).
• «“Dopo Tangentopoli”, ecco la dottrina Davigo, “i politici non hanno smesso di rubare, hanno soltanto smesso di vergognarsi”. Insomma, l’Onestà non può che peggiorare nel Paese dei Disonesti, agli occhi di questa toga super-combat per il quale la guerra non finisce mai e guai a togliersi la mimetica: “È giusto che ci sia tensione tra potere politico e giudiziario”. Se gli si dice che è un pessimista, Davigo – che vede la “devianza” in ogni anfratto e in ogni posto di potere – condivide la definizione: “Il pessimista – così ha spiegato – è quello che pensa che peggio non possa andare, mentre l’ottimista è convinto che possa andare peggio”» (Mario Ajello).
• «Uno che al governo fa la macumba quando si alza e prima di andare a letto» (Andrea Marcenaro).
• «È uno dei magistrati più famosi in Italia e nel mondo anche per aver continuato a studiare il fenomeno della corruzione. Lo dimostrano i libri che ha scritto, le interviste, le conferenze tenute in Italia ma anche nel mondo. Toga pronta alla battuta sferzante, con la rara capacità di tradurre con esempi facili e storielle complessi concetti finanziari. Un cane mastino per chi, in un prossimo futuro, lo avrà come interlocutore nelle trattative» (Liana Milella).
• Sul suo biglietto da visita c’è scritto «Il sì sia sì, il no sia no».