12 novembre 2010
Tags : Il delitto di via Poma
Busco interrogato a Rebibbia
• Raniero Busco viene
interrogato nell’aula bunker di Rebibbia. «Per mezz’ora il pm Ilaria Calò, gli
avvocati e la presidente della corte d’assise, Evelina Canale, gli chiedono di
ricostruire il pomeriggio del 7 agosto ’90, quando Simonetta Cesaroni fu uccisa
in via Poma. Spesso le risposte dell’ex fidanzato si limitano a dei “non
ricordo”, ma Busco ha dalla sua i vent’anni trascorsi da allora. “Sicuramente
– precisa – in questura mi hanno chiesto cosa avevo fatto quel giorno, ma il
verbale non c’è, cosa che ho saputo solo nel 2005”. Alle tre di notte dell’8 agosto ’90 gli agenti della Mobile avevano prelevato Busco a Fiumicino, dove
tuttora lavora, e l’avevano portato in via Genova: “Mi hanno gettato le foto
del cadavere davanti: immaginate il mio stato d’animo. Mi gridavano di
confessare, mi hanno schiaffeggiato. Nel pomeriggio mi hanno ripreso, mi hanno
riconvocato dopo un mese e poi dopo 15 anni”. Nei primi interrogatori Busco
aveva spiegato di aver trascorso il pomeriggio dell’omicidio con l’amico
Simone Palombi, che però l’ha smentito. Perciò ora l’imputato sostiene: “Ho
riparato l’auto di mio fratello Paolo e verso le 18.30 o le 19 sono andato al
bar Portici”. Busco nega di aver telefonato a Simonetta all’ora di pranzo e di
sapere che lavorava in via Poma. Le domande del pm tendono a mettere in luce
gli aspetti più discutibili della personalità dell’imputato emersi durante il processo: l’accusa gli contesta due tentativi di depistaggio (una falsa segnalazione a
carico di un amico; altri tre amici indicati come possibili corteggiatori di
Simonetta); un alibi fasullo concordato con due amiche della madre; due liti
finite a botte con la cognata e i vicini. Le risposte non convincono la Calò,
che però non insiste. Ad aprire l’udienza è la deposizione di Salvatore
Volponi, l’ex datore di lavoro della vittima. Lucido, freddo, preciso, il
commercialista sottolinea: “Prima della sera del 7 agosto non ero mai stato in
via Poma”. All’arrivo, racconta, si era diretto subito all’abitazione del
portiere “solo perché c’era una luce”. E un’altra luce, stavolta della luna, lo
aveva spinto a entrare proprio nella stanza “giusta”, quella dove Simonetta
giaceva morta». [Leggi qui alcuni stralci dell’interrogatorio a Volponi][Lavinia Di Gianvito, Cds 13/11/2010]