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 2007  settembre 29 Sabato calendario

Il giudice ha scarcerato Alberto Stasi: le prove portate dall’accusa non sono sufficienti. Il giovane ha lasciato il carcere di Vigevano ieri mattina alle 11

Il giudice ha scarcerato Alberto Stasi: le prove portate dall’accusa non sono sufficienti. Il giovane ha lasciato il carcere di Vigevano ieri mattina alle 11.30. La madre di Chiara Poggi, la ragazza assassinata, ha commentato: «Non siamo né a favore né contro Stasi. Abbiamo fiducia nella magistratura. Adesso trovino l’assassino».

• Allora è innocente?
Sì, ma era innocente pure prima. Voglio dire: lo stare o non stare in carcere non ha niente a che vedere con la colpevolezza o l’innocenza, che sono stabilite alla fine di un rito che si chiama ”processo” e ha tre gradi di giudizio. La parte che sostiene l’accusa può ritenere di avere indizi «gravi e concordanti» per imprigionare un sospettato, ma questi indizi da soli non bastano. Come ormai saprà, perché lo abbiamo detto tante volte, per mettere in cella qualcuno prima del processo bisogna: 1, che vi sia un rischio di fuga della persona sospettata; 2, oppure che il sospettato possa inquinare le prove; 3, o anche che il sospettato possa ripetere il delitto. Ci sono casi in cui il reo ha addirittura confessato e ciononostante è rimasto libero fino alla sentenza di condanna. L’accusa, nel caso di Garlasco, ha sostenuto che gli indizi di colpevolezza erano sufficienti e che Alberto avrebbe potuto fuggire. Il giudice per l’indagine preliminare, dottoressa Giulia Pravon, ha ritenuto che la questione della fuga eventuale non si poneva nemmen gli indizi non erano «gravi e concordanti». Alberto resta indagato, ma è completamente libero. Non gli hanno dato neanche i domiciliari.

• Ma non c’erano le macchie di sangue sul pedale della bicicletta?
Insufficienti, evidentemente. Alberto ha spiegato che le «microtracce di consistenza ematica», «nitide e ben visibili» (stiamo citando il Ris di Parma) sono normali perdite femminili. I suoi difensori dicono che non è nemmeno sangue, ma saliva o sudore. un punto ancora in discussione. All’inizio s’era trovata un’abbondante quantità di materiale genetico. Sembrava possibile fare esami anche 300-350 volte. Era certamente Dna di Chiara, ma non si poteva stabilire con sicurezza da quale fluido corporeo provenisse perché la bicicletta era stata lavata con detergenti e le cellule risultavano rotte. Smontati i pedali e ispezionati nella parte interna, ecco saltar fuori tre gocce che hanno reagito positivamente al Combur Test e che quindi dovrebbero essere sangue. L’estrazione del Dna da queste tre gocce non è stata ancora completata e non è quindi solo in base a queste tre gocce che l’accusa può aver chiesto il carcere. Vedremo che cosa succederà quando si capirà se si tratta o no di sangue mestruale (sarà certamente possibile stabilirlo perché il sangue mestruale è più ricco di cellule di sfaldamento, ormoni e proteine). Ci sono poi una trentina di tracce rilevate nella villetta dove Chiara è stata uccisa e ritenute “utili” dall’accusa. Ma su questo si sta lavorando adesso e bisogna aspettare. In ogni caso, la strada dell’esame del Dna mi pare in salita per l’accusa.

• Perché?
Non c’è il movente, non c’è l’arma del delitto.

• Però c’è il fatto delle scarpe che non erano sporche di sangue. E lui ha detto di aver lavorato al computer per la tesi e non è vero.
Giusto, ma si tratta di indizi. Le bugie non sono ancora una confessione e l’imputato potrà dire di essersi confuso o di aver mentito per paura o di aver risposto una prima volta a casaccio e di aver voluto poi tenere il punto. In galera su queste basi non ci mandi nessuno. No, il quadro indiziario o addirittura le prove hanno senso solo se si inseriscono in una ricostruzione ragionevole del perché e del come. Guardi, è una caratteristica dell’indagine, questa, che ha a che fare con la letteratura. Un buon romanzo deve avere prima di tutto una trama che sta in piedi. Allo stesso modo la ricostruzione dell’accusa deve essere circostanziata e credibile. Prove, indizi e testimonianze devono armonicamente conciliarsi con l’ipotesi accusatoria. Lei capisce che senza arma e soprattutto senza movente non c’è ricostruzione che tenga. L’accusa deve saper rispondere alla domanda: «Perché l’ha fatto?».

• Magari aveva un’altra.
Lei lo sa? Qualcuno lo ha provato? Tutti i testimoni parlano concordemente di coppia perfetta. Se è stato Alberto, perché non l’ha uccisa la sera prima? Se è stato Alberto, come mai ha deciso di agire di mattina, quando ci sarebbe stato il rischio di esser visti da qualcuno? Domande senza risposta. Caso lontano dall’essere risolto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/9/2007]