La Gazzetta dello Sport, 28 novembre 2007
Gli israeliani e i palestinesi hanno rilasciato una dichiarazione comune... • Allora è finita la guerra? Pace in Medio Oriente? E come hanno fatto a mettersi d’accordo? Così tutto all’improvviso
Gli israeliani e i palestinesi hanno rilasciato una dichiarazione comune...
• Allora è finita la guerra? Pace in Medio Oriente? E come hanno fatto a mettersi d’accordo? Così tutto all’improvviso...
Calma, calma. Una dichiarazione non è un trattato di pace. E anche la dichiarazione si sapeva che ci sarebbe stata. Si tratta di un primo, piccolissimo passo. La strada da percorrere è ancora lunga.
• Spieghi in che consiste questo passo.
Prima di tutto bisogna sapere che è cominciata ad Annapolis una conferenza che vede riuniti rappresentanti israeliani e rappresentanti palestinesi. Stia attento ad ogni singola parola: Annapolis si trova negli Stati Uniti, non lontano da Washington. Siamo cioè in casa di Bush. E infatti è la diplomazia di Bush ad aver organizzato questo evento, con lo scopo principale di far fare una bella figura al presidente più bistrattato della storia: se il negoziato riprenderà, si potrà dire che si tratta di un successo della Casa Bianca. Seconda parola a cui deve stare attent “conferenza”. Cioè non si tratta – tecnicamente parlando – di un tavolo negoziale classico, con i palestinesi di qua, gli israeliani di là a discutere punto per punto le loro inimicizie. Qui è come quando vogliamo far incontrare due persone che non si sa come mettere insieme. Si organizza una cena e le si fa sedere una vicina all’altra, sperando che almeno si rivolgano la parola. Può andar bene e può andar male. Intanto si sceglie una parola neutra, che non compromette nessun “conferenza”. Infatti ad Annapolis ci sono rappresentanti di 40 Paesi e di sette organizzazioni internazionali. Tra i Paesi, per darle un’idea, ci sono anche il Brasile, l’Australia e il Vaticano. Infine, faccia caso al termine “dichiarazione”. Per decidere se adoperare la parola “dichiarazione” o la parola “documento” gli israeliani e i palestinesi hanno discusso tutta la settimana scorsa.
• Ah, ma allora andavano a questa cena – come dice lei – sapendo già che li avrebbero fatti sedere uno vicino all’altro.
E certo. Tutto il mondo guardava all’appuntamento di Annapolis. E pochissimi con qualche fiducia. Si sapeva che probabilmente sarebbe stata letta questa “cosa” iniziale, dichiarazione o documento, come primo passo sul sentiero della pace e con la benedizione di Bush. E si immaginava che i due Paesi si sarebbero impegnati a dare inizio alle trattative dandosi un tempo massimo per chiuderle e avendo come obiettivi da raggiungere la definizione dei confini, la restituzione ai palestinesi di Gerusalemme Est (non semplice) e, il più complicato di tutti, il ritorno in patria dei profughi palestinesi. La dichiarazione, letta poi solennemente da Bush, è infatti in linea con queste previsioni. Il tempo massimo per il trattato di pace doveva essere di otto mesi ed è stato portato a un anno. Che sembra poco per venire a capo di quel garbuglio. D’altra parte Bush sta tentando di mettersi sul petto questa medaglia e il suo mandato scade nel gennaio 2009. Giusto un anno di tempo.
• Ma è possibile che sia tutto così complicato? Che non si riesca, con l’appogio delle altre nazioni, a trovare una via d’uscita? La pace non converrebbe a tutti quanti?
Il fatto è che ognuno dei due capi deve fare i conti con la sua ala estremista. L’ala estremista israeliana vuole risolvere la questione a cannonate ed è contrarissima alla politica delle “cessioni unilaterali” cominciata dal primo ministro Sharon. Pensi che secondo alcuni gli israeliani starebbero per fare ancora una di queste cessioni unilaterali restituendo ai palestinesi senza contropartite il capo terrorista Barghouti.
• Cosa sono le cessioni unilaterali?
Gli israeliani, a partire dal settembre 2005, hanno preso a restituire spontaneamente territori ai palestinesi. Hanno cominciato con Gaza e con la dolorosa partenza dei coloni dalle loro terre. Un dramma ricco di significato politico, provocato anche da un calcolo nascosto assai sottile: se il futuro stato di Israele fosse formato da tutte le terre occupate dopo il ’67, gli arabi risulterebbeo in maggioranza. Dunque la restituzione, oltre a far esplodere le contraddizioni tra i palestinesi (dilaniati adesso da una guerra civile), rende possibile la creazione di uno Stato israeliano a maggioranza israeliana. Dalla parte palestinese, a frenare la trattativa, ci sono poi i terroristi di Hamas, per i quali Israele va semplicemente annientata. Ieri quelli di Hamas hanno manifestato a Gaza contro Annapolis. Ci sono stati incidenti e un palestinese è stato ammazzato dalla polizia locale. Al confine, altri scontri con le milizie israeliane hanno provocato sette morti, sei dei quali palestinesi. Anche se la pace è forse un poco più vicina, è bene sapere che è ancora tanto, tanto lontana.[Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 27/11/2007]