La Gazzetta dello Sport, 30 dicembre 2007
Perché gli italiani non si piacciono
Ultimo numero dell’anno, e un po’ di tristezza. Si dice da tutte le parti che siamo scesi nelle classifiche che contano e anche il Direttore, ieri mattina, ci ha spiegato che se non ci fosse lo sport...
• Ma è proprio così? Non si vede qualche segnale minimamente positivo da qualche parte?
Lei sa che il magone c’è venuto per colpa di due giornali anglosassoni. Prima il corrispondente del New York Times, Ian Fisher, ha riempito due pagine del suo giornale per spiegare che «non ci vogliamo più bene», che siamo più poveri, più vecchi, che viviamo sempre peggio, che siamo destinati a diventare un Paese tipo Florida, cioè sostanzialmente terra di rifugio per turisti decrepiti che aspettano la morte cercando un po’ di sole. Una settimana dopo il Times di Londra ha ricominciato il canto funebre: calo dei consumi, politici di qualità vergognosa, e, di nuovo, siamo vecchi, siamo poveri. Altre due pagine. SkyTg24 ha fatto un sondaggio e verificato che otto italiani su dieci sono d’accordo. Cioè, i primi a esser convinti di valere poco siamo noi. Storia vecchia: gli italiani hanno sempre avuto una bassa opinione di sé stessi e una delle curiosità che ciclicamente gli storici indagano con maggior interesse è da dove derivi questo sentimento perennemente autodenigratorio. Mi pare che tutte le analisi concordino sul fatto che questa specie di vergogna d’essere italiani – e quindi, per ciò stesso, irrimediabilmente inferiori agli altri – risalga addirittura alla sconfitta di Lissa, anno 1866. Le barchette in legno degli austriaci ebbero la meglio sulle nostre corazzate. Il loro comandante Tegetthoff commentò: «Uomini di ferro su navi di legno hanno battuto uomini di legno su navi di ferro».
• Saremmo perciò uomini di legno. Non stiamo andando fuori tema?
Il bello è che gli austriaci che ci avevano battuto erano italiani pure loro. Parlavano veneto. Compreso Tegetthoff, che dava gli ordini in veneto, se no nessuno dei suoi avrebbe capito. Perciò è una sconfitta per modo di dire, erano italiani contro italiani, come per tutto il Risorgimento.
• Adesso ci battono gli spagnoli.
E non è completamente vero. Anzi, è quasi falso. La storia del sorpasso spagnolo nasce da una rilevazione Eurostat relativa al 2006. Fatto cento il pil medio pro-capite di 26 paesi, risultava che la Spagna era a 105 e noi a 103, mentre nel 2005 noi eravamo a 105 e a 103 ci stavano loro. Il “pil medio pro-capite” sarebbe quanto produce in media ognuno di noi. Bene, la Banca mondiale giura che nel 2006 il nostro pil medio superava i 32 mila dollari l’anno, mentre quello degli spagnoli non arrivava a 28 mila. Idem secondo i calcoli di Global Sight (150 paesi sotto osservazione): noi siamo a 31 mila e 300 dollari, gli spagnoli a 28 mila. Chi ha ragione? Eurostat o questi qui? Global Sight calcola pure che, continuando noi e gli spagnoli a produrre come produciamo adesso, il sorpasso a un certo punto ci sarà, ma solo nel 2025. In quell’anno il nostro Pil pro-capite sarà a 75.307 e quello spagnolo a 75.474. Gli spagnoli, cioè, sono lontanissimi.
• Però stanno correndo più di noi.
Sì ma vuole che da qui al 2025 non abbiano un attimo di stanchezza? E vuole che noi non facciamo mai, ma proprio mai, uno scatto?
• Lei vuol fare l’ottimista a tutti i costi. Ma io le chiedo: perché gli spagnoli stanno correndo più di noi?
Le rispondo in due righe: sfruttano enormemente meglio di noi i fondi europei; hanno varato un imponente programma di opere pubbliche, capace di trascinare tutto il resto. Noi pure potremmo mandare gente sveglia a Burxelles, mentre per il programma di opere pubbliche abbiamo una grossa palla al piede, che è il nostro debito. Ma stia a sentire: Marco Vitale, sul Sole 24 Ore dell’altro giorno, ha elencato cinque buone ragioni per essere ottimisti. Gliele riassumo: uno, stiamo rimontando – e bene – contro la mafia; due, la nostra media impresa è forte; tre, la nostra grande industria, grazie soprattutto alla Fiat, ha recuperato; quattro, la mentalità imprenditoriale – nonostante il nostro Stato sia quello che sia – avanza e Vitale parla di impensabili potenzialità, per esempio, in Campania; cinque, l’accordo tra Veltroni e Berlusconi, e le scosse telluriche che stanno terremotando la politica, ci dicono che anche quel mondo, a prima vista colpevole di tutto, è in una fase di rivolgimento che può essere positiva. Aggiungo una sesta buona ragione di ottimismo che ci ha ricordato qualche giorno fa Fulco Pratesi: abbiamo più parchi e più foreste di cinquant’anni fa, e sul nostro territorio rinverdito sono ricomparsi gipeti, orsi bruni, lupi, linci, fenicotteri rosa, lontre, cervi sardi e altri esemplari che si temevano estinti o quasi. Non è grandioso? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 30/12/2007]