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 2008  luglio 04 Venerdì calendario

Chi è la Monica Lewinsky della politica italiana? • Qui veramente le domande le faccio io. E le chiedo prima di tutto: chi è Monica Lewinsky?C’era una volta un presidente degli Stati Uniti che si chiamava Bill Clinton

Chi è la Monica Lewinsky della politica italiana?

Qui veramente le domande le faccio io. E le chiedo prima di tutto: chi è Monica Lewinsky?
C’era una volta un presidente degli Stati Uniti che si chiamava Bill Clinton. A costui piacevano da matti le donne. C’era nel suo ufficio una stagista. Di nome Monica Lewinsky. Costei una volta fece in modo di trovarsi sola col presidente e gli fece vedere le gambe. Un’altra volta, dopo averlo lasciato giocare con le mani, accettò di mettersi in ginocchio mentre lui restava in piedi. E fece attenzione a farsi macchiare il vestito, che non lavò e conservò poi meticolosamente, chiazzato com’era, in frigorifero in modo da esser certa che le tracce biologiche non sbiadissero. Più tardi la mammina di questa povera figlia, che l’aveva consigliata molto prima del primo istante, fece scoppiare lo scandalo. Clinton rischiò l’impeachment, cioè la messa in stato d’accusa, Monica scrisse un libro e incassò un mucchio di soldi, la Borsa andò giù... Era il 1996.

Adesso le domando: che c’entra Monica Lewinsky con gli affari di casa nostra?
Da parecchi giorni, e in particolare da mercoledì scorso, gira per le stanze del potere il pettegolezzo che esisterebbero delle telefonate in cui si sentono due ministre dell’attuale governo oppure lo stesso presidente del Consiglio con una di queste due ministre parlare di prestazioni erotiche, giochetti e favori da scambiarsi. Badi che sono certamente falsità, però formano la chiacchiera del momento e noi ne riferiamo mentre ne denunciamo subito l’insostenibilità, almeno allo stato attuale degli atti. Ma, naturalmente, queste intercettazioni potrebbero uscir fuori e se contenessero davvero quello che si mormora potrebbero imbarazzare il premier. Quindi c’è il gran dibattito: è giusto pubblicare o non è giusto? E anche: è giusto che i magistrati spiino questa roba, mettano un povero maresciallo a trascriverla (e non sempre il maresciallo capisce bene), poi facciano uscire in qualche modo le carte in modo che finiscano a qualche giornalista amico...

Questo è il punto numero uno: quelle carte non devono uscire.
Sì, ma oggi rischiano di diventar disponibili per chiunque le voglia adoperare. Si discute nel tribunale di Napoli del caso Saccà e se vi sia stato o no illecito nel giro di vallette, attricette, raccomandazioni e quant’altro che risulta dalle telefonate. Una volta adoperate in udienza, le trascrizioni si potranno pubblicare.

Berlusconi non voleva emanare un decreto per bloccare tutto?
Voleva, sì. E voleva andare a Matrix da Mentana, ieri sera, per spiegare che quelle chiacchiere sono niente, scherzi o barzellette, ammesse tra persone in confidenza e che magari si vogliono pure bene, prive di ogni significato ricattatorio, irrilevanti non solo sul piano penale, ma persino su quello del costume. Ma ci si è messa di mezzo la politica. Il decreto, che avrebbe dovuto esser deciso stamattina ed essere emanato lunedì – lei sa che i decreti hanno efficacia immediatamente, e quindi da lunedì pubblicare le intercettazioni avrebbe messo a rischio di galera e di salatissime multe giornalisti ed editori – non potrà essere convertito entro 60 giorni per via delle vacanze, quindi lo stesso Fini ha sconsigliato di procedere. Idem, Gianni Letta: ha detto a Berlusconi: «Vacci piano». I magistrati in vari modi stanno facendo la faccia meno feroce e Napolitano si sta dando molto da fare per tenere tutti buoni, accontentando ora questi ora quello, un gioco di equilibri che ci vorrebbe un libro per raccontarlo. Per esempio, Napolitano ha detto a Berlusconi: va bene, fatti la legge che garantisce l’immunità alle prime quattro cariche dello Stato, ma lascia perdere i decreti, non espropriare il Parlamento, «espropriare il Parlamento» una bellissima frase che a forza di essere ripetuta non significa più niente. Prodi emanava un decreto ogni dieci giorni e anche sulle materie meno urgenti della Terra.

Non vedo Monica Lewinsky da nessuna parte.
Il partito dei giudici, rappresentato magnificamente da Di Pietro, dice che non bisogna vietare niente, per quanro riguarda le intercettazioni. Di Pietro ha fatto un gran discorso alla Camera, dove ha detto papale papale: «Il premier si fa i cavoli suoi!». Uno dei suoi uomini, Massimo Donadi, ha fatto poi il capolavoro. Ha chiesto: «Che sarebbe successo se Clinton avesse nominato Monica Lewinsky ministro?» Con questo dando per scontato che tra il quasi settantaduenne Berlusconi e le belle ministre del telefono siano passati commerci alla Lewinsky. Ma non ci sono evidenze di commerci, e non ci sono per il momento neanche le intercettazioni. Di Pietro dovrebbe spiegare a Donadi che non si fa così. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/7/2008]