La Gazzetta dello Sport, 17 luglio 2008
Tremonti ha detto ancora ieri, sulla Stampa, che la crisi che stiamo attraversando è simile a quella del 1929
Tremonti ha detto ancora ieri, sulla Stampa, che la crisi che stiamo attraversando è simile a quella del 1929...
• Già, di che parliamo quando citiamo questo ’29? Che razza di crisi fu?
Fu innanzi tutto un crollo a Wall Street, la Borsa di New York. Due crolli, per la verità: uno il giovedì 24 ottobre 1929, passato alla storia come “giovedì nero”. E un altro il martedì successivo, 29 ottobre, da allora in poi “martedì nero”. Le Borse poi continuarono ad andar giù per tre anni di fila e alla fine di quel primo periodo il valore medio delle imprese ancora quotate s’era dimezzato. Un aneddoto spiritoso lo racconta Galbraith nel suo celebre libro (Il grande crollo, nella Bur). Il vecchio Joe Kennedy – padre di John e di Robert – si sentì chiedere dal lustrrascarpe nero che lo stava servendo un consiglio su come dovesse comportarsi con certe azioni su cui aveva investito. Buy? Sell? Quando ebbe le scarpe belle lucide, Joe corse a vendere tutto, obbedendo a questo ragionamento: se sono diventati azionisti anche i neri, vuol dire che la fine è vicina. Pochi giorni dopo cominciarono i crolli.
• Non sapevo che il padre dei Kennedy fosse razzista.
Razzista, nazista, violentatore di donne e trafficante di liquori durante il proibizionismo. Il discorso del lustrascarpe aveva però un fondo di verità: le speculazioni sui titoli erano arrivate a un tale stato di parossismo che tutti compravano tutto sicuri del rialzo infinito: lo stato psicologico classico delle bolle finanziarie. Questo dell’economia di carta – cioè dello sviluppo incontrollato di emissioni che non facevano più riferimento ad alcun valore reale – è uno degli elementi che rende la situazione del ’29 tanto simile a quella attuale. L’ultimo dato, di un anno e mezzo fa, dice che il Pil mondiale – cioè tutto quello che l’uomo produce in un anno – è pari a 38 mila miliardi di dollari (dollari di fine 2006). Su questa attività – che un po’ rozzamente possiamo considerare il bene di base o, come si dice in finanza, il “sottostante” – sono stati costruiti strumenti derivati per 400 mila miliardi di dollari, dieci volte tanto.
• Altre analogie?
Il dollaro era basso, come ora. Ma tendevano al ribasso anche i prezzi, che infatti crollarono insieme al valore delle azioni. Senonché, a metà degli anni Trenta, il 25 per cento degli americani era disoccupato e gli altri tiravano a campare con salari di fame. Che te ne fai dei prezzi bassi se non puoi comprare niente? Molti oggi invocano il crollo dei prezzi come una panacea. Ma i prezzi troppo giù significano deflazione e miseria. Un’altra analogia riguarda le banche: l’intreccio con le imprese era forte e le une, crollando, tirarono giù le altre. Noi avevamo una regola, fino al 1993, secondo la quale le banche – tranne Mediobanca – non potevano comprare aziende. Liberalizzando su questo punto abbiamo, per esempio, salvato la Fiat e la Telecom e forse salveremo pure Alitalia. Il rovescio della medaglia è che invece potremmo perdere tutto, sia le banche che le imprese. Infine, la crisi del 1929 provocò un massiccio intervento dello Stato in economia, sia in America – con l’applicazione delle teorie di Keynes e il cosiddetto New Deal – sia in Italia, dove c’era Mussolini e si procedette con l’autarchia e l’Iri. Si comincia a vedere qualcosa di simile anche adesso: negli Stati Uniti il sistema bancario è già mezzo statalizzato, il che per quel Paese e con un presidente repubblicano, suona enorme. Da noi Tremonti parla di dazi (stiamo grossolanamente schematizzando), il che ci fa sentire odore di autarchia, quella che applicò Mussolini nell’illusione di poter fare a meno del resto del mondo. Si videro molta autarchia e molti rivolgimenti politici anche in Sud America. Peron alla fine è anche un prodotto del Ventinove.
• Differenze?
Mica tante, alla fine. Si dice che allora la struttura del sistema bancario era cattiva e che era cattiva la struttura delle aziende (così Galbraith). La nostra, secondo questa tesi, sarebbe buona. Ma, a questo punto, direi che è stata (forse) buona fino ad ora. come con i terremoti: la costruzione di case sempre più capaci di resistere al sisma sostituisce solo ai tanti frequenti, piccoli sismi con pochi morti un’unica gigantesca scossa capace di ammazzare milioni di uomini. Per quanto gli ingegneri si sforzino, c’è sempre un terremoto capace di distruggere tutto.
• Come ne usciremo?
Dal 1929 si uscì di fatto con la Seconda Guerra Mondiale. Dovendo ricostruire un mondo devastato, gli uomini ricorsero all’unica medicina che risolve tutte le crisi: rimboccarsi le maniche, lavorare come matti, recuperare la speranza. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/7/2008]