La Gazzetta dello Sport, 9 settembre 2008
Le carceri sono di nuovo piene, i detenuti liberati due anni fa con l’indulto sono tornati dentro, ci si aspetta che prima o poi scoppi qualche rivolta nelle prigioni più grandi
Le carceri sono di nuovo piene, i detenuti liberati due anni fa con l’indulto sono tornati dentro, ci si aspetta che prima o poi scoppi qualche rivolta nelle prigioni più grandi. Qualche incidente, di cui s’è saputo poco o niente, si è già verificato a Trento e a Sulmona. Calcoli fatti da oppositori del governo (dove si batte fortemente sul chiodo che l’indulto è stato votato anche da Forza Italia) stimano che entro un paio d’anni, se non si fa qualcosa, i nostri penitenziari ospiteranno 73 mila persone, essendo fatti per poterne accogliere invece al massimo 43 mila. Il ministro Alfano ha preparato un piano in cui si ipotizza uno svuotamento a tamburo battente di settemila posti: tremila stranieri da rimpatriare perché finiscano di scontare la pena a casa loro e quattromila italiani da spedire agli arresti domiciliari con un braccialetto elettronico al polso o alla caviglia che impedisca fughe o avventure.
• Problemi?
Parecchi. Intanto problemi politici: Maroni, il ministro dell’Interno, ha detto che la cosa si può anche prendere in considerazione ma a patto che il braccialetto sia sicuro al cento per cento. - dice - assolutamente indispensabile che il detenuto non possa evadere.
• E questa sicurezza c’è?
Alfano sostiene che all’estero hanno raggiunto uno standard assoluto in questa pratica. L’esperienza italiana però è diversa. Un test su 400 detenuti durato fino al 2005 ha fatto vedere prima di tutto che i braccialetti sono facilissimi da tagliare, perché costruiti in un materiale molto morbido (e d’altra parte materiali rigidi farebbero male alla persona che li indossa). Che succede se uno li taglia? Appena ilo detenuto comincia ad armeggiare sulle sue manette scatta l’allarme, che è collegato al telefono di casa. Il carcerato però, quando arriva la polizia, ha fatto in tempo a dileguarsi. E non sarebbe catturabile neanche se fosse sparito col braccialetto addosso. L’aggeggio infatti non comunica la sua posizione perché non è collegato al satellite. E non è consentito collegarlo, perché l’Unione europea ha sentenziato che questo lederebbe diritti fondamentali della persona. Ne viene perciò che, nove volte su dieci, l’uomo o la donna col braccialetto spariranno.
• Maroni quindi ha detto di sì adesso, ma ponendo una condizione che gli consentirà di bocciare il piano.
Già. C’è però da considerare anche il fatto che il braccialetto fa risparmiare. Per mantenere un detenuto in cella lo Stato spende oggi 250 euro al giorno (dati di Franco Corleone, che fu sottosegretario alla Giustizia all’epoca del centrosinistra e oggi è Garante dei detenuti toscani). Quindi, per quattromila detenuti, si tratta di 365 milioni l’anno. Il braccialetto per quattromila uomini e donne costerebbe 110 milioni. Meno di un terzo. Però, se non tiene sotto controllo il carcerato, a che serve?
• Come si sono calcolati questi 4000?
Sono persone a cui non restano da scontare più di due anni di carcere. Il fatto è che per applicare il braccialetto bisogna che siano d’accordo. Questo è un altro punto: non si potrà procedere con questa misura senza cambiare la legge, cioè senza dare allo Stato la possibilità di procedere a prescindere dalla volontà del detenuto.
• E per gli immigrati?
Ci sono problemi anche per l’espulsione dei tremila stranieri. Prima di tutto bisogna che i Paesi d’origine di queste persone siano disposti a riprenderseli. E non lo sono quasi mai. Bisognerà quindi dar luogo a un’attività diplomatica piuttosto intensa, perché l’ipotesi è che i carcerati rispediti in patria finiscano di scontare la pena nel loro Paese. Sa però quanti sono i Paesi rappresentati nelle nostre carceri? 160. C’è da lavorare parecchio, perciò, su questo fronte. Poi c’è la questione dei tempi. Per deliberare l’espulsione di un detenuto, il tribunale di vigilanza ci mette come minimo sei mesi. E molti di questi hanno un residuo pena molto inferiore ai due anni sicché per parecchi di loro si trattaterebbe di lavoro sprecato dato che il permesso del tribunale arriverebbe quando la pena sarebbe già stata scontata e l’ex condannato tornato libero. Senza contare i costi da sostenere per riaccompagnarli a casa. Problemi, problemi e problemi in un Paese – il nostro – che è prima di tutto troppo burocratizzato. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport, 9/9/2008]