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 2008  ottobre 24 Venerdì calendario

Facciamo prima a dire quali istituti non sono stati occupati, in quali città non si sono fatti cortei

Facciamo prima a dire quali istituti non sono stati occupati, in quali città non si sono fatti cortei... Mentre il Senato approvava i primi tre articoli del decreto Gelmini, che sarà convertito in legge mercoledì prossimo, le scuole medie e le università italiane si sono messe per l’ennesima volta a fare la rivoluzione, occupando le sedi, sfilando, tenendo lezione in piazza, inalberando striscioni e strillando insulti ai politici. Berlusconi, che sta in Cina e l’altro giorno aveva detto che nelle scuole occupate sarebbe stato bene mandare la polizia, ieri ha accusato i giornali di aver capito male, di aver mentito nelle titolazioni, lui alla polizia non ci ha mai pensato, ecc.

È Veltroni che sta mobilitando il Paese in vista della manifestazione di domani?
Secondo me, no. Almeno per quanto riguarda gli studenti, i partiti politici sembrano piuttosto dei corpi estranei. Esponenti del Partito democratico che si son fatti vedere a qualche assemblea sono stati fischiati. Cronisti che hanno avvicinato i ragazzi intenti alle lezioni in piazza si sono sentiti rispondere che di partiti e quant’altro non vogliono sentir parlare. È un po’ sempre stato così.

Ma allora chi li manovra?
La protesta studentesca non riesce davvero a cavalcarla nessuno, può avere gli esiti più impensati e può anche afflosciarsi dall’oggi al domani senza che sia molto chiaro che cosa è successo. Perché quelli della Pantera, una ventina d’anni fa, a un certo punto la piantarono? Boh. Ieri a Fagnano Castello, San Marco Argentano e Roggiano – tutti centri in provincia di Cosenza – sembrava che volessero alzare la ghigliottina in piazza, invece sono arrivati carabinieri e polizia, hanno spiegato che l’occupazione delle scuole configura il reato di interruzione di pubblico servizio e i ragazzi hanno arrotolato gli striscioni e se ne sono tornati a casa.

Ma alla fine che vogliono?
È una domanda a cui bisogna dare molte risposte, perché i soggetti in campo si battono per cose diverse. I sindacati della scuola e gli insegnanti in genere conducono una battaglia classica: la legge 133, già in vigore, prevede tagli del 17% negli organici, cioè la cancellazione in tre anni di 87 mila cattedre e circa 45 mila posti di personale non docente. Per raggiungere questo obiettivo lo Stato non rimpiazzerà chi andrà in pensione e ridurrà il numero di maestri nelle elementari a uno. Su quest’ultimo punto s’è innescata una polemica molto accesa di natura didattica: il maestro unico - si dice - dequalifica la scuola, tre maestri invece no. La situazione è talmente intricata che persino Bossi ha maltrattato la Gelmini, con l’argomentazione che se i maestri sono tre almeno uno sarà capace. Il punto è che i soldi non ci sono e Tremonti è decisissimo a tagliare. Questo dunque è un primo lato della protesta, che riguarda anche tanti genitori preoccupati che, accorciandosi l’orario di scuola, dovranno riprendersi i figlia a casa nel primo pomeriggio. È possibile che accada, anche se Gelmini e Berlusconi dicono di no.

E gli studenti?
Gli studenti delle scuole secondarie (licei, tecnici eccetera) ce l’hanno col decreto Gelmini – suppongo – perché introduce qualche restrizione nella nostra scuola ultra-lassista. Il ministro vuole che il voto in condotta faccia media e che se non si prende almeno sei si ripeta l’anno. Poi c’è stato il ritorno dei voti, l’obbligo di prendere almeno tutti sei per essere promossi e la reintroduzione, di fatto, degli esami di riparazione. Scocciature, di sicuro. Non decisioni tali però da permettere l’uso della parola “riforma”. L’insieme delle norme stabilite dal decreto Gelmini e dalla 133 vanno intitolate caso mai a una prima riorganizzazione del sistema, che deve costare di meno e produrre di più. Capiamo anche il fatto che lottare, per chi è giovane, è meraviglioso. Il ministro Gelmini – che scoppierebbe in lacrime ogni volta che resta sola – non deve prendersela troppo.

E l’università?
Protesta per i tagli severi. Senonché quello è un mondo di baronie, intrallazzi e nepotismi al quale è molto difficile dare credito. La Gelmini ha fornito qualche dato, che nessuno ha smentito: abbiamo 94 università, che si avvalgono di 320 sedi distaccate e poi produciamo meno laureati del Cile e troppo spesso laureati di livello imbarazzante. I 5500 corsi di laurea sono il doppio di quelli che si tenevano nel 2001, senza che si sia capito quale beneficio ha procurato alla società questa proliferazione di titoli. 37 corsi di laurea hanno un solo studente. In 327 facoltà sono iscritte meno di 15 persone. Un rendiconto fallimentare come quello di Alitalia. Cinque atenei sono infatti sull’orlo del crac: Firenze, Pisa, Siena, Urbino e Camerino. Vedrà che presto dovremo occuparcene. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 24/10/2008]