La Gazzetta dello Sport, 15 novembre 2008
Ieri, sciopero e manifestazione sindacale indetta dalla Cgil e dall Uil, e cortei di studenti e ricercatori universitari un po’ dovunque: le immagini dei giornali e i lanci d’agenzia si sono concentrati soprattutto su Roma e un poco anche su Milano, ma universitari in corteo si sono visti un po’ dappertutto: Bari
Ieri, sciopero e manifestazione sindacale indetta dalla Cgil e dall Uil, e cortei di studenti e ricercatori universitari un po’ dovunque: le immagini dei giornali e i lanci d’agenzia si sono concentrati soprattutto su Roma e un poco anche su Milano, ma universitari in corteo si sono visti un po’ dappertutto: Bari. Bologna, Bolzano, Cagliari, Firenze, Genova, Gorizia, Livorno, Napoli, Padova, Palermo e così via seguendo l’ordine alfabetico (la lista è stata compilata dal sito di Repubblica) fino a Venezia. Nessun incidente, grande partecipazione, centomila per i sindacati e centomila per gli studenti. O forse duecentomila o mezzo milione: sappiamo già che le cifre fanno tutte discutere. In ogni caso erano tanti.
• Le posso dire una cosa? Non avevano già manifestato la settimana scorsa? E forse anche dieci giorni fa? Non è un po’ troppo questo manifestare continuo?
Sono cose diverse. Le manifestazioni precedenti avevano come bersaglio soprattutto il decreto Gelmini, quello dei voti, del maestro unico alle elementari e della condotta che fa media. A quel provvedimento si attribuivano nefandezze che non conteneva e i cortei, sbagliando troppe volte slogan e bersagli, non facevano che aumentare la confusione. Ieri ho avuto l’impressione di una maggiore consapevolezza di ciò di cui si parlava. Già, perché per contestare bene e dare, contestando, un vero contributo alla soluzione dei problemi bisogna che i contestatori (l’opposizione) sappiano con chiarezza di che cosa parlano.
• Quindi?
Quindi diciamo prima di tutto che le due manifestazioni di ieri – quella sindacale e quella degli studenti – vanno tenute distinte. Gli stessi universitari dell’Onda hanno fatto di tutto per non confondersi con la Cgil, attaccata anche lei dagli slogan gridati dai cortei. La distinzione tra le due manifestazioni è giusta anche per un altro motivo: Epifani e gli universitari hanno motivazioni di partenza e obiettivi diversi.
• Cominciamo da Epifani.
Epifani ha anche indetto uno sciopero generale per il 12 dicembre, a cui andrà da solo. Ieri la Uil è rimasta con lui, ma la Cisl si è sfilata. Il sindacato ha problemi di unità. Non si vuol dire che è in via di spappolamento, ma certo il momento è assai difficile. Sono gli esiti micidiali della partita Alitalia e anche l’ovvia conseguenza del fatto che il Paese ha poco da spartirsi. In recessione, non ce n’è per nessuno, i mariti litigano con le mogli su come si debbano impiegare i pochi soldi disponibili e le sigle sindacali si azzuffano per portare a casa qualcosa e soprattutto per sopravvivere. La terza questione è la debolezza del centro-sinistra, a sua volta diviso: Epifani sente di poter rappresentare l’insoddisfazione dei ceti popolari, che forse si sentono – a torto o a ragione – orfani di un partito che li rappresenti davvero contro il centro-destra. La sua è perciò una partita tutta politica, come dimostra il discorso pronunciato in piazza Navona pieno di riferimenti e di attacchi agli assenti, cioè la Cisl.
• E gli universitari?
Gli universitari – studenti e ricercatori – se la vedono con i tagli previsti dalla 133 (la prefinanziaria approvata l’estate scorsa) e con un nuovo decreto Gelmini, varato il 7 novembre e da non confondere col precedente. Gli studenti chiedono un’università di qualità, i ricercatori, che spesso sono precari da una vita, pretendono che non si consumi sulla loro pelle una qualche ingiustizia insopportabile. Per esempio che li si butti fuori dagli atenei o che li si mantenga a vita nella condizione umiliante in cui si trovano adesso.
• Hanno qualche possibilità di vincere?
L’opinione unanime degli studiosi più seri è che il decreto Gelmini sull’università migliori nettamente la prefinanziaria, cioè la 133. La 133 tagliava indiscriminatamente, il decreto Gelmini distingue tra università virtuose e no e cerca di punire queste e di salvare quelle. Il decreto Gelmini ha bloccato i concorsi, dove ancora una volta gli amici degli amici e i figli dei figli si sarebbero spartiti soldi e potere: s’è deciso di sorteggiare i professori chiamati a far parte delle commissioni giudicatrici, in modo da ostacolare almeno un po’ il formarsi di camarille. difficile non ammettere che le intenzioni del governo sono lodevoli anche se tanti punti del decreto e del disegno di legge che seguirà sono criticabili. Ma l’università italiana è allo sfascio totale e senza università, ricerca e cultura siamo destinati, tra qualche anno, a diventare molto poveri. Se c’è un terreno sul quale i vari soggetti titolati a parlare (partiti, singoli uomini politici, sindacati, studenti, professori, intellettuali di ogni tendenza) sono chiamati a discutere seriamente è questo. Altrimenti vale la frase pronunciata ieri da Enrico Letta, e che ho riportato nel mio blog: «Il problema vero è cosa si fa il giorno dopo il corteo». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15/11/2008]