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 2008  novembre 30 Domenica calendario

Dopo 60 ore di battaglia, duecento morti (tra questi 26 stranieri di cui uno italiano) e più di 300 feriti, la guerra di Mumbai è finita

Dopo 60 ore di battaglia, duecento morti (tra questi 26 stranieri di cui uno italiano) e più di 300 feriti, la guerra di Mumbai è finita. Ieri mattina verso le quattro il capo della polizia, Hassan Gafoor, è apparso alla tv e ha annunciato: «Tutte le operazioni sono terminate. Tutti i terroristi sono stati uccisi», un’affermazione forse non completamente vera. Le ultime ricostruzioni accreditano un commando di una quindicina di uomini (che, dato il livello dell’attacco, sembrano molto pochi). I cadaveri di terroristi recuperati sono 11. Uno è stato fatto prigioniero e identificato. La sua confessione ha chiarito abbastanza la natura dell’operazione.

Che cosa ha detto?
Si chiama Azam Amir Kasav, ha 21 anni, è pakistano e proviene dal Faridkot. L’altra mattina Bernardo Valli, di Repubblica, ha scritto che il generale R.K. Hooda, comandante delle truppe indiane a Mumbai, dopo aver studiato il comportamento degli assalitori aveva dichiarato con sicurezza che i miliziani venivano «dall’altra parte della frontiera, forse da Faridkot». Faridkot è un distretto del Punjab. Il Punjab è diviso in due: mezzo indiano e mezzo pakistano. Dunque gli attentatori vengono dal Paese nemico dell’India da sempre. E Kasav ha confessato di far parte di una delle due organizzazioni terroristiche leader dell’area: il gruppo Lashkar-e-taba. Gli assalitori si proponevano di realizzare un 11 settembre indiano, riducendo in macerie i due grandi alberghi, il Taj Mahal e il Trident Oberoi. L’esplosivo era stato portato e non si sa come mai al momento non sia risultato disponibile. Il ministro degli Interni dello Stato Maharashtra, dove si trova Mumbay, ha detto che dal numero di munizioni di cui s’erano dotati terroristi si deduce che volessero ammazzare almeno cinquemila persone. Gli organizzatori dell’assalto avevano piazzato in città un gruppetto di loro affiliati almeno un mese fa. Alcuni di questi avevano preso alloggio proprio al Taj Mahal e al Trident e s’erano dedicati a conoscere a fondo la pianta dei due alberghi. Si deve ammettere però che se gli obiettivi erano questi, l’attacco deve considerarsi quasi fallito.

Sa che le ragioni concrete di queste azioni condotte contro civili inermi, che non possono finire se non con la morte degli attaccanti e senza alcun vantaggio materiale per la mano che muove l’azione, mi sfuggono completamente? Io non riesco a capire.
Lashkar-e-taba s’è fatta un nome nella guerra per il Kashmir. In quanto pakistani attaccano gli indu e in quanto musulmani vogliono far fuori gli ebrei. Considerano indu ed ebrei popoli da annientare. Qui sta una prima ragione, se vogliamo localistica, dell’assalto: una guerra di religione in cui la polizia indu massacra i musulmani e le organizzazione clandestine musulmane attentano continuamente ai monumenti indu. L’anno scorso in India gli attentati hanno provocato 2.700 morti.

Insisto: che cosa hanno ottenuto alla fine?
C’è un problema di comunicazione. Massacrando gli ospiti dei due alberghi più famosi di Mumbay, Lashkar ha detto ai suoi di esistere e di essere forte. C’è un secondo livello di scontro ed è quello territoriale. Il punto d’attrito principale è il Kashmir, al tempo dei tempi induista, poi musulmano, poi dominato dagli afgani. Adesso è indiano, lo rivendicano i pakistani, lo vogliono pure i cinesi.

In questo guazzabuglio entra anche la Cina?
Sì. Anzi, la parola “Cina” ci introduce al terzo livello di scontro. La nuova amministrazione pakistana e il primo ministro indiano Manmohan Singh hanno rinforzato l’alleanza con gli Stati Uniti. Gli americani hanno interesse a portar l’India dalla loro parte proprio per contrastare la Cina. E hanno bisogno del Pakistan per sostenere la guerra contro i Talebani. Il nuovo capo del Pakistan, il vedovo di Benazir Bhutto, è più filo-americano dell’ex presidente Musharraf. Inoltre, un tentativo di riavvicinamento tra India e Pakistan è in corso. Quindi: indiani e pakistani, fino alla settimana scorsa, stavano migliorando, e con un certo successo, le loro relazioni. Tutt’e due stavano intensificando la dipendenza dagli Stati Uniti. S’immagina come questi due movimenti siano stati vissuti dal fondamentalismo islamico? Che cosa si è gridato nelle regioni del Nord, quelle dove comandano i Talebani?

Quindi anche stavolta c’entra Osama?
Gli esperti dicono di no. Le varie organizzazioni terroristiche si muovono ormai autonomamente, anche se al Qaeda benedice di sicuro questi atti di sangue. Il quarto livello di scontro è quello più generale che riguarda lo scontro di civiltà: all’Oriente di Allah ripugna il nostro modo di vivere, il nostro modo di essere. La guerra, per loro, resta santa. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 30/11/2008]