Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 13 Sabato calendario

Dobbiamo tornare sul problema dell’auto americana, che sembrava momentaneamente risolto. Il Senato americano ha bocciato il piano di aiuti da 14 miliardi che il Congresso aveva approvato due giorni fa e a questo punto le probabilità che soprattutto General Motors e Ford chiedano l’amministrazione controllata prima di Natale è davvero assai alta

Dobbiamo tornare sul problema dell’auto americana, che sembrava momentaneamente risolto. Il Senato americano ha bocciato il piano di aiuti da 14 miliardi che il Congresso aveva approvato due giorni fa e a questo punto le probabilità che soprattutto General Motors e Ford chiedano l’amministrazione controllata prima di Natale è davvero assai alta. La notizia della bocciatura ha precipitato le quotazioni in Asia e indotto i giapponesi a sbarazzarsi di dollari e titoli americani provocando una discesa forte della valuta nipponica. Per il Giappone uno yen troppo caro è un guaio perché quel Paese vive di esportazioni e le esportazioni erano già in difficoltà prima di questo disastro: se lo yen costa troppo, si alzano sui mercati internazionali anche i prezzi delle merci giapponesi che a questo punto vengono comprate di meno. Inutile dire che le borse asiatiche hanno chiuso con gli indici sotto terra e che quelle europee hanno passato una mattinata drammatica, con cadute del 4 o del 5 per cento. A metà giornata, Bush ha fatto sapere dagli Stati Uniti che qualcosa si dovrà comunque fare e ha manifestato l’intenzione di pigliare i soldi che servono all’industria automobilistica dai 700 miliardi a suo tempo stanziati per le banche (anche lì lo stanziamento passò dopo una bocciatura provocata dai repubblicani). Il quadro d’insieme è davvero preoccupante. È persino uscito fuori un dato sconcertante e cioè che gli Stati Uniti, nonostante la crisi in cui si trovano, in ottobre hanno importato più di quanto abbiano esportato. La differenza tra il dare e l’avere è di 57,2 miliardi di dollari. La ragione di questo numero abbastanza incredibile sta in una notizia altrettanto scoraggiante: i cinesi, alle prese a loro volta con la crisi, hanno smesso di comprare deprimendo definitivamente l’export Usa.

E gli italiani?
Marchionne ha detto che farà l’alleanza internazionale da 5,5 milioni di auto, ma mai e poi mai l’alleato metterà i piedi in testa alla Fiat. Speriamo.

Sì, mi ricordo i discorsi dell’altro giorno. Perché ai repubblicani non va giù di aiutare quelli dell’auto?
Perché dicono che sono soldi buttati dalla finestra. Il ragionamento è: a marzo o bisognerà dargliene altri – probabilmente a fondo perduto – oppure le aziende falliranno lo stesso. A questo punto – dicono - che falliscano subito. Poco prima del voto s’era svolta una trattativa tra il management di Detroit, il sidacato Uaw e questo gruppo di senatori repubblicani capeggiati da Mitch McConnell, leader del partito al Senato e falco irriducibile (difende ancora oggi l’intervento in Iraq sostenendo che è essenziale per la lotta al terrorismo). McConnell ha detto: o voi tagliate il salario degli operai al livello dei salari che prendono gli operai stranieri oppure non se ne fa niente. Lo Uaw, che pure pochi giorni fa s’era detto disponibile a concessioni di tutti i tipi, su questo punto ha detto no. Il Senato ha quindi votato contro e i 14 miliardi sono spariti.

Le conseguenze per noi?
Un’ulteriore debolezza americana. Parliamoci chiaro: in questi anni gli Stati Uniti sono stati – per il tutto il mondo – il miglior cliente possibile. È vero che, con l’uguaglianza petrolio-dollaro, avevano costruito un sistema imperiale grazie al quale tenevano sotto controllo l’intero pianeta. Però erano dei grandi compratori di merce. La loro bilancia commerciale – quella che mette a confronto i beni acquistati e quelli venduti – è in deficit dal tempo dei tempi. Che cosa accadrà al resto del mondo nel momento in cui questo formidabile finanziatore della produzione mondiale se ne starà chiuso in casa senza il becco di un quattrino da spendere? Sta già avvenendo in realtà, ma se chiude Detroit il colpo alla loro forza finanziaria sarà colossale. Ieri girava il numero di 7 milioni di posti di lavoro perduti.

Non hanno la cassa integrazione? Qualche ammortizzatore sociale?
General Motors ha annunciato che a gennaio in ogni caso metterà in cassa integrazione il 30 per cento della sua forza lavoro in America e in Canada. Anche se gli daranno questi 14 miliardi, con l’escamotage di ricorrere al vecchio finanziamento stanziato per le banche, produrranno comunque 250 mila vetture in meno.

Ma questa debolezza di un concorrente non dovrebbe essere vista con favore dalle altre case automobilistiche?
La domanda di automobili è in crisi dappertuto. Pare che la gente non ne voglia più sapere. Gli svedesi hanno stanziato 2,6 miliardi di euro per aiutare Saab e Volvo, che fanno capo tra l’altro una a Gm e l’altra a Ford. Le ho già detto che in Germania Opel (Gm) vuole un miliardo dalla Merkel. Sul mio blog ho messo un servizio sulle automobili che stanno ferme sui piazzali dei rivenditori italiani, in attesa che qualcuno se le porti via. Parlo di macchine a chilometri zero. Beh, si tratta di duecentomila vetture, tre miliardi di valore medio, che si possono portar via con lo sconto. È Natale, ma stanno ancora lì. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 13/12/2008]