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 2008  dicembre 14 Domenica calendario

Una nuova dichiarazione di Renato Brunetta ha messo scompiglio nel mondo politico e sindacale: il ministro ha detto che bisogna al più presto portare l’età pensionabile delle impiegate dello Stato a 65 anni, in modo da renderla uguale a quella degli impiegati

Una nuova dichiarazione di Renato Brunetta ha messo scompiglio nel mondo politico e sindacale: il ministro ha detto che bisogna al più presto portare l’età pensionabile delle impiegate dello Stato a 65 anni, in modo da renderla uguale a quella degli impiegati. Lo scorso 13 novembre la Corte europea ha condannato l’Italia perché, nella pubblica amministrazione, tratta diversamente le pensioni degli uomini e quelle delle donne. La Corte non specifica chi sia il discriminato della situazione, ma ci invita a uniformare il criterio. Se non faremo nulla, potrebbe arrivare una nuova condanna e a quel punto saremo costretti a pagare una multa quotidiana oscillante tra gli 11.904 e i 714.240 euro. Brunetta ha detto di aver formato una commissione per studiare il problema, ma si è detto comunque favorevole.

Mi sa che le donne ci rimetterebbero. O no?
Il bello in questa discussione è che tutti e due i partiti, cioè il partito di quelli che non vogliono alzare l’età pensionabile delle donne e il partito di quelli che la vogliono alzare, sostengono di operare in difesa delle donne e per porre fine a ogni discriminazione. Partiti trasversali: la Bonino (a sinistra) è fra le più strenue sostenitrici dell’innalzamento. A destra a questo punto il leader di questa scuola di pensiero è Brunetta. Gli oppositori più convinti sono i sindacati. Che ieri hanno sparato a palle incatenate su Brunetta.

Ma alla fine perché le donne vanno in pensione prima? un atto di galanteria? Non c’è contraddizione col fatto che vivono molto più degli uomini?
Questa stortura sta dentro la stortura generale che riguarda il lavoro femminile. Il tasso di occupazione delle donne è del 46%, quello degli uomini è del 70. La retribuzione femminile media (parliamo di lavoratori dipendenti) è di 15 mila euro l’anno, quella maschile di 21 mila. Al momento della pensione, gli uomini prendono il 64% dell’ultimo stipendio, le donne il 46%. La pensione media di una donna è di 520 euro al mese, quella di un uomo di 980. Brunetta dice che questo quadro di assoluta ingiustizia sarebbe mitigato dall’aggiunta di cinque anni di lavoro. Mah. Il ministro fa anche un altro ragionamento: forzando le donne a restare al lavoro per cinque anni, si avrebbe un aumento delle entrate fiscali e soprattutto un aumento del Pil. Questo, è sottinteso, migliorerebbe i conti italiani in sede europea e permetterebbe magari di spendere da qualche altra parte.

Un’idea simile non creerà un conflitto durissimo con tutti e tre i sindacati? La gran massa degli iscritti delle tre sigle è formata da pensionati.
Ci sarebbe conflitto anche dentro il centro-destra. Berlusconi non vuole sentir parlare di pensioni, e Sacconi, in realtà, non ha nessuna intenzione di alzare l’età pensionabile delle donne, qualunque cosa abbia dichiarato ieri. Ci sono poi parecchi problemi pratici. Prima di tutto: la Ue ci rimprovera per la disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici, ma non dice nulla sui dipendenti privati perché i dipendenti privati – per la Ue e per i giudici del Lussemburgo – possono fare come vogliono. Ma per i nostri princìpi, non può esserci differenza di trattamento tra dipendenti e quindi se, ipoteticamente, il governo varasse una legge che porta l’età pensionabile delle lavoratrici dello Stato a 65 anni, subito vi sarebbero milioni di ricorsi perché le lavoratrici private, continuando ad andare in pensione a 60 anni, risulterebbero favorite dalla nuova norma rispetto alle loro colleghe del settore pubblico. Inoltre, se non si cambiasse il regime dei dipendenti privati, le statali potrebbero facilmente aggirare la regola licenziandosi a 60 anni.

Perché?
Si dimetterebbero in ogni caso dallo Stato e passerebbero (legge 322/58) dalla gestione Inpdap (dipendenti pubblici) alla gestione Inps (dipendenti privati). Sotto l’Inps potrebbero andare in pensione immediatamente, cioè a 60 anni. Ogni anno metterebbero in pratica questo scherzetto un milione e 400 mila lavoratrici. L’Inps salterebbe per aria.

Ma all’estero c’è qualche caso simile?
Grecia e Austria avevano qualcosa di simile, ma hanno varato riforme che realizzeranno gradualmente la parità tra i sessi entro il 2020. Qualcosa del genere dovremo comunque fare anche noi. Molto probabilmente si ripristinerà, per tutti, un sistema di incentivi e disincentivi, cioè ti premio se resti al lavoro e ti sanziono se prendi la pensione. Maschi e femmine senza distinzione, pubblici e privati senza distinzione, e in un arco di tempo che potrebbe andare dai 62 anni ai 67. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/12/2008]