La Gazzetta dello Sport, 5 maggio 2009
Marchionne alla conquista della Opel…• È andato in Germania?Sì, ieri. Ha incontrato il ministro dell’Economia Karl-Theodor zu Guttenberg
Marchionne alla conquista della Opel…
• È andato in Germania?
Sì, ieri. Ha incontrato il ministro dell’Economia Karl-Theodor zu Guttenberg. Ha esposto un piano che conosciamo per linee grandissime: Fiat Auto verrebbe scorporata dal resto del gruppo e fusa con General Motors Europe… Lei sa che Opel è da 80 anni la faccia europea di Gm. La nuova società, capace di un fatturato di 80 miliardi, andrebbe in Borsa. Marchionne vorrebbe una Opel senza debiti, ma ha bisogno di un prestito garantito dallo Stato tedesco di almeno 3 miliardi. Pagherebbe l’acquisizione un miliardo, cosa che però hanno fatto sapere i sindacati tedeschi perché né Guttenberg né Marchionne ne hanno parlato.
• Poco? Molto?
C’è un’offerta Magna di 5 miliardi. Prima dell’arrivo di Marchionne in Germania si sapeva che l’offerta Fiat era di 750 milioni. Nell’offerta Magna ci deve essere qualcosa di non convincente perché la differenza tra 5 miliardi e 750 milioni è troppa: Marchionne, se i numeri sono veri, non avrebbe neanche dovuto essere ricevuto. Però ieri sul Corriere Massimo Mucchetti ha dimostrato che un prezzo di 5 miliardi per Opel non sta in piedi: Psa (Peugeot- Citroen) vale più o meno 4 miliardi e mezzo e vende il triplo di Opel. C’è, relativamente a Magna, un altro problema: non si tratta di una vera casa automobilistica, ma di un service per i costruttori di auto. Per esempio, nello stabilimento di Graz, Magna assembla Saab per conto di Gm e realizza economie adoperando le stesse piattaforme per diverse marche. Che succederebbe però se questo service diventasse a sua volta produttore? Perderebbe di colpo tutti i clienti, dato che si trasformerebbe in un concorrente. Dunque – posso sbagliare – ma credo che la mossa Magna sia un diversivo, un sistema per perdere tempo.
• Perché?
Fiat è il partner ideale di Opel, a maggior ragione adesso che l’affare Chrysler apre il mercato americano. il partner ideale perché le due case lavorano su modelli simili e, una volta unite, potrebbero realizzare un grande volume di venduto (Opel vale poco più di due milioni di auto l’anno nella sola Europa) con costi molto contenuti. Opel oltre tutto si tirerebbe dietro di sicuro gli altri due marchi europei di Gm, cioè Vauxhall e Saab. Il guaio di questo ampliamento della produzione sta proprio nel contenimento dei costi. Il contenimento riguarderebbe infatti stabilimenti da ridimensionare o da chiudere e lavoratori da mandar via.
• Mi pare dura. Lei una volta mi ha raccontato che la Merkel, a gennaio, ha convocato i capi delle 30 imprese più grandi di Germania promettendo mari e monti se si fossero impegnati a non licenziare.
Ci sono le elezioni alla fine di settembre e questo spiega tutto. Marchionne ieri ha rassicurato il ministro tedesco dicendo che nessuno dei quattro stabilimenti Opel sarebbe chiuso e che in uno solo vi sarebbe una riduzione di personale. Il ministro ha giudicato il piano «interessante» e ha detto che deve essere «valorizzato». I sindacati stanno aggrappati ai cinque milioni della Magna e dicono che la Fiat, col suo milione, offre troppo poco. I sindacati dicono che se Marchionne non mette nell’azienda almeno 3,3 miliardi non si combina nulla.
• Non c’è un versante italiano della faccenda? La Fiat non potrebbe tagliare in Italia invece che in Germania?
Ci sono infatti dichiarazioni allarmate della Cgil che reclamano un tavolo in cui il vertice Fiat spieghi, in mezzo a queste grandi operazioni, che cosa vuole fare in Italia. Sappiamo che Pomigliano è considerato da tempo uno stabilimento a rischio, fortemente sotto utilizzato. Anche Termini Imerese sarebbe a rischio. Interrogato ieri, Marchionne ha detto: «Non ho mai abbandonato nemmeno per un secondo l’impegno verso il sistema italiano ma insieme ai sindacati e al governo dobbiamo essere capaci di affrontare i problemi strutturali in modo responsabile, tenendo fede a tutti gli impegni con i dipendenti. Però non possiamo non guardare ad una domanda che è calata. L’esempio che ci viene da Obama è che dobbiamo mantenere e rafforzare l’industria del Paese ma riconoscendo la realtà delle cose. Un percorso che faremo nel rispetto delle specificità del sistema europeo e del nostro radicamento italiano. Non sono diventato Marchionne l’Americano». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 5/5/2009]