Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 10 Domenica calendario

Il fatto più importante di ieri è la stretta di mano tra le signore Li­cia Rognini e Gemma Capra, al Quirinale, davanti al Capo dello Stato e a una piccola folla di illu­stri che hanno applaudito e si so­no commossi

Il fatto più importante di ieri è la stretta di mano tra le signore Li­cia Rognini e Gemma Capra, al Quirinale, davanti al Capo dello Stato e a una piccola folla di illu­stri che hanno applaudito e si so­no commossi.

Come mai un gesto tanto sem­plice diventa, per noi, il fatto del giorno?
Licia Rognini è la vedova di Giu­seppe Pinelli, anarchico e ferro­viere. Gemma Capra era la mo­glie di Luigi Calabresi, commis­sario di polizia. Ha sentito par­lare di Pinelli e Calabresi? E del­la strage di piazza Fontana?

Sì, ne ho sentito parlare. Ma non è che abbia le idee chiare.
Il 12 dicembre del 1969, alle 16.37, una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale del­l’Agricoltura, in piazza Fonta­na a Milano. Uccise 17 persone, ne ferì 88. Io facevo il giornali­sta da due mesi e mezzo. Entrò il vicedirettore del giornale nel­lo stanzone della cronaca e dis­se: «A Milano è scoppiata una caldaia, forse ci sono dei mor­ti ». Così sembrava all’inizio. Non c’erano stati attentati in Italia fino a quel momento, né bombe né agguati proditori. Una bomba era inimmaginabi­le. Culturalmente e sociologica­mente, eravamo ancora con un piede negli Anni 50. Ne uscim­mo per sempre quel pomerig­gio. L’ingenua ipotesi della cal­daia venne smontata dopo po­chi minuti. C’era stata un’altra bomba alla Commerciale, rima­sta inesplosa. Qualcuno aveva dunque voluto uccidere. Ma perché? Eravamo in pieno au­tunno caldo, c’erano i cortei de­gli operai e ancora le agitazioni sessantottesche degli studenti. Ma uccidere!

Che cosa pensò la polizia?
La polizia fece sapere quella se­ra stessa che i principali sospet­tati erano gli anarchici. Perché gli anarchici? Perché – come capimmo poi – erano pochi e stavano sulle scatole sia alla Dc che al Pci. Venne arrestato l’in­nocentissimo ballerino Pietro Valpreda. E l’innocentissimo ferroviere anarchico Pino Pinel­li, addetto allo scalo Garibaldi, venne prelevato dal commissa­rio Luigi Calabresi al circolo di via Scaldasole. I due si conosce­vano e si stimavano. Il Natale prima, Pinelli aveva regalato a Calabresi il libro Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli. E Calabresi aveva ricambiato con una copia dell’Antologia di Spoon River. Non ci fu bisogno di manette. Pinelli andò in que­stura col suo motorino Benelli, seguendo la 850 blu del com­missario. Restò nella sede della polizia di via Fatebenefratelli per tre giorni, interrogato ille­galmente dato che non aveva difensori. La notte tra il 15 e il 16 dicembre, infine, volò dal balcone del 4˚ piano. Al proces­so, il giudice D’Ambrosio, con un miracolo di equilibrismo, sentenziò che non s’era suicida­to né l’avevano ammazzato. Era caduto giù per colpa di un «malore attivo», formula mai in­contrata prima e mai incontra­ta dopo in nessun processo al mondo.

Il commissario Calabresi fu am­mazzato per vendetta?
Sì. La stampa di sinistra, e in particolare il quotidiano Lotta Continua, fecero campagna contro il commissario Calabre­si, che era invece innocente di quella morte: come venne ap­purato poi, non era neanche presente nella stanza al mo­mento del malore attivo. Una campagna forsennata: Lotta Continua arrivò al punto di pub­blicare l’indirizzo di casa del commissario, un modo implici­to di invitare i compagni «a far giustizia». Infatti, la mattina del 17 maggio 1972, mentre sta­va uscendo dalla sua casa di via Cherubini, a Milano, un uomo gli sparò due colpi, uno alla nu­ca e uno alle spalle. Morì in ospedale poco dopo. La moglie ha poi raccontato che il marito aveva quest’idea su piazza Fon­tana: manovali di sinistra e cer­vello di destra. Mandante di quel delitto è stato invece giudi­cato Adriano Sofri, al termine di un processo lunghissimo e molto, molto discusso. Non ab­biamo spazio qui per parlarne. Ma, insomma, ecco qui, in due parole, la storia delle due vedo­ve.

Che in quarant’anni non s’era­no mai incontrate.
Mai. E ieri si sono strette la ma­no grazie a Napolitano che ha voluto celebrare così la Giorna­ta della memoria delle vittime del terrorismo. Ieri era il 9 mag­gio. E il 9 maggio 1978, in via Caetani a Roma, venne trova­to, chiuso in una Renault rossa, il cadavere di Aldo Moro. Que­sti orrori sono alle nostre spal­le, ma non del tutto. E Napolita­no ha pronunciato un gran di­scorso ieri, invitando alla ricon­ciliazione, alla pace, all’abban­dono di ogni rancore pur senza dimenticare, dato che dimenti­care è impossibile. Ha forte­mente criticato quegli ex terro­risti che non smettono di esibir­si e giustificarsi nel tentativo di farsi passare per eroi romanti­ci. Ha attaccato, senza far no­mi, i brasiliani che non voglio­no ridarci Cesare Battisti. E quando ha ricordato l’anarchi­co Pinelli, la sua innocenza, l’in­giustizia subìta, la voce gli si è rotta per la commozione. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/5/2009]