La Gazzetta dello Sport, 10 maggio 2009
Il fatto più importante di ieri è la stretta di mano tra le signore Licia Rognini e Gemma Capra, al Quirinale, davanti al Capo dello Stato e a una piccola folla di illustri che hanno applaudito e si sono commossi
Il fatto più importante di ieri è la stretta di mano tra le signore Licia Rognini e Gemma Capra, al Quirinale, davanti al Capo dello Stato e a una piccola folla di illustri che hanno applaudito e si sono commossi.
• Come mai un gesto tanto semplice diventa, per noi, il fatto del giorno?
Licia Rognini è la vedova di Giuseppe Pinelli, anarchico e ferroviere. Gemma Capra era la moglie di Luigi Calabresi, commissario di polizia. Ha sentito parlare di Pinelli e Calabresi? E della strage di piazza Fontana?
• Sì, ne ho sentito parlare. Ma non è che abbia le idee chiare.
Il 12 dicembre del 1969, alle 16.37, una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano. Uccise 17 persone, ne ferì 88. Io facevo il giornalista da due mesi e mezzo. Entrò il vicedirettore del giornale nello stanzone della cronaca e disse: «A Milano è scoppiata una caldaia, forse ci sono dei morti ». Così sembrava all’inizio. Non c’erano stati attentati in Italia fino a quel momento, né bombe né agguati proditori. Una bomba era inimmaginabile. Culturalmente e sociologicamente, eravamo ancora con un piede negli Anni 50. Ne uscimmo per sempre quel pomeriggio. L’ingenua ipotesi della caldaia venne smontata dopo pochi minuti. C’era stata un’altra bomba alla Commerciale, rimasta inesplosa. Qualcuno aveva dunque voluto uccidere. Ma perché? Eravamo in pieno autunno caldo, c’erano i cortei degli operai e ancora le agitazioni sessantottesche degli studenti. Ma uccidere!
• Che cosa pensò la polizia?
La polizia fece sapere quella sera stessa che i principali sospettati erano gli anarchici. Perché gli anarchici? Perché – come capimmo poi – erano pochi e stavano sulle scatole sia alla Dc che al Pci. Venne arrestato l’innocentissimo ballerino Pietro Valpreda. E l’innocentissimo ferroviere anarchico Pino Pinelli, addetto allo scalo Garibaldi, venne prelevato dal commissario Luigi Calabresi al circolo di via Scaldasole. I due si conoscevano e si stimavano. Il Natale prima, Pinelli aveva regalato a Calabresi il libro Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli. E Calabresi aveva ricambiato con una copia dell’Antologia di Spoon River. Non ci fu bisogno di manette. Pinelli andò in questura col suo motorino Benelli, seguendo la 850 blu del commissario. Restò nella sede della polizia di via Fatebenefratelli per tre giorni, interrogato illegalmente dato che non aveva difensori. La notte tra il 15 e il 16 dicembre, infine, volò dal balcone del 4˚ piano. Al processo, il giudice D’Ambrosio, con un miracolo di equilibrismo, sentenziò che non s’era suicidato né l’avevano ammazzato. Era caduto giù per colpa di un «malore attivo», formula mai incontrata prima e mai incontrata dopo in nessun processo al mondo.
• Il commissario Calabresi fu ammazzato per vendetta?
Sì. La stampa di sinistra, e in particolare il quotidiano Lotta Continua, fecero campagna contro il commissario Calabresi, che era invece innocente di quella morte: come venne appurato poi, non era neanche presente nella stanza al momento del malore attivo. Una campagna forsennata: Lotta Continua arrivò al punto di pubblicare l’indirizzo di casa del commissario, un modo implicito di invitare i compagni «a far giustizia». Infatti, la mattina del 17 maggio 1972, mentre stava uscendo dalla sua casa di via Cherubini, a Milano, un uomo gli sparò due colpi, uno alla nuca e uno alle spalle. Morì in ospedale poco dopo. La moglie ha poi raccontato che il marito aveva quest’idea su piazza Fontana: manovali di sinistra e cervello di destra. Mandante di quel delitto è stato invece giudicato Adriano Sofri, al termine di un processo lunghissimo e molto, molto discusso. Non abbiamo spazio qui per parlarne. Ma, insomma, ecco qui, in due parole, la storia delle due vedove.
• Che in quarant’anni non s’erano mai incontrate.
Mai. E ieri si sono strette la mano grazie a Napolitano che ha voluto celebrare così la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo. Ieri era il 9 maggio. E il 9 maggio 1978, in via Caetani a Roma, venne trovato, chiuso in una Renault rossa, il cadavere di Aldo Moro. Questi orrori sono alle nostre spalle, ma non del tutto. E Napolitano ha pronunciato un gran discorso ieri, invitando alla riconciliazione, alla pace, all’abbandono di ogni rancore pur senza dimenticare, dato che dimenticare è impossibile. Ha fortemente criticato quegli ex terroristi che non smettono di esibirsi e giustificarsi nel tentativo di farsi passare per eroi romantici. Ha attaccato, senza far nomi, i brasiliani che non vogliono ridarci Cesare Battisti. E quando ha ricordato l’anarchico Pinelli, la sua innocenza, l’ingiustizia subìta, la voce gli si è rotta per la commozione. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/5/2009]