Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 18 Lunedì calendario

Agenzia di ieri pomeriggio: «Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bas­si tra i Paesi Ocse

Agenzia di ieri pomeriggio: «Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bas­si tra i Paesi Ocse. Con un sala­rio netto di 21.374 dollari, l’Ita­lia si colloca al 23˚ posto della classifica dei 30 Paesi dell’orga­nizzazione di Parigi. Buste pa­ga più pesanti non solo in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germa­nia, Francia, ma anche in Gre­cia e Spagna. quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassa­zione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato».

L’Ocse sarebbe?
Un’organizzazione nata dopo la guerra tra i Paesi destinatari degli aiuti americani (piano Marshall). La sigla significa «Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ». All’inizio erano 16 nazioni, poi sono diventate 30. Oggi è soprattutto un ufficio studi, che ci manda ogni anno dossier comparativi sulle materie più disparate. Noi siamo costretti a occuparcene almeno due volte l’anno, quando manda lo studio comparativo sui sistemi d’istruzione e quando fa la classifica degli stipendi netti. Ogni volta si tratta di volumi da 500 pagine, dai quali ri­sultiamo sempre tra gli ultimi.

Lo dice come se non credesse ai dati.
Mi fa ridere l’eccitazione che i comunicati Ocse provocano, come se ogni volta scoprissi­mo l’America. Per esempio, il rapporto sugli stipendi di que­st’anno è assolutamente iden­tico a quello dell’anno scorso: eravamo ventitreesimi su 30 l’anno scorso, siamo ventitree­simi su 30 quest’anno. Allora come adesso, Grecia e Spagna ci sopravanzavano e ci sopra­vanzano. Le ragioni per cui sia­mo in fondo alla classifica que­st’anno sono le stesse dell’an­no scorso: tasse e contributi gravano in modo esagerato sulla busta paga, per una per­centuale di circa il 46% della retribuzione lorda. Questo in­sieme di tasse e contributi prende il nome misterioso di cuneo fiscale. Prodi aveva dimi­nuito di cinque punti questo cuneo fiscale o almeno così di­ceva. Se si fa la classifica del cuneo fiscale, eravamo e sia­mo sesti, cioè trattandosi di ro­ba negativa balziamo subito ai primi posti. Avrà capito che queste classifiche mi hanno stancato e ancora di più mi ha stancato il clamore che provo­cano tra noi giornalisti smemo­rati.

Ma il problema esiste o no?
Il problema esiste e il cuneo fi­scale è in un certo senso un’astrazione. La voce cuneo fi­scale su Wikipedia (a proposi­to: sarebbe il caso di aggiorna­re la voce, è sempre uguale da più di un anno) ha un passag­gio importante: «Un confron­to puramente quantitativo tra misure del cuneo fiscale di dif­ferenti Paesi o periodi ha poco significato se non è accompa­gnato da un’analisi qualitativa dei risultati ottenuti con la spe­sa pubblica finanziata dal get­tito fiscale del cuneo stesso. Non esiste una quantità ideale di cuneo fiscale; il cuneo fisca­le presente in ciascun Paese è dovuto allo schema impositi­vo in vigore in quel Paese, che a sua volta dipende da una se­rie di accadimenti politici e sto­rici ».

Non ho capito quasi niente.
E’ scritto male, lo so, ma signifi­ca questo: se i soldi pubblici so­no spesi bene, danno servizi e assistenza, strade e altre infra­strutture, beh alla fine un cu­neo fiscale alto non è così terri­bile. Gli americani guadagna­no più di noi, ma devono stor­nare una parte del reddito per pensioni e sanità, a cui lo Sta­to provvede poco. Le conside­razioni sul cuneo fiscale lascia­no il tempo che trovano se non si spiega come il cuneo fiscale viene speso. Quindi anche il dato secco relativo allo stipen­dio, seppure al netto e tenen­do conto del potere d’acqui­sto, dice e non dice. Potrei per esempio obiettare che l’anno scorso la valutazione Ocse ci accreditava di un salario me­dio netto riferito a un lavorato­re single di 19.861 dollari. Que­st’anno il salario netto risulta di 21.374. Si tratta di un au­mento di quasi l’8 per cento. Mica male, con l’inflazione sot­to al 2. Invece un lavoratore Ocse guadagna quest’anno in media 25 mila dollari, mentre l’anno scorso stava a 24.660. Appena l’1 per cento in più. Sa­remmo andati meglio noi.

Dovremmo esser contenti?
No, ma almeno renderci conto che questi dati non sono per niente convincenti. Che gli ita­liani guadagnino poco è vero, che il sistema fiscale sia op­pressivo e che Tremonti non l’abbia affatto alleggerito è pu­re vero. D’altra parte si deve ammettere che la tendenza a tener bassi i salari, soprattutto rispetto alla vetta dei compen­si, è mondiale. «Si stima che la disuguaglianza di reddito tra il 20% più benestante e il 20% più povero della popolazione mondiale sia di 90:1». Non lo dico io, lo scrive Luciano Galli­no nel suo ultimo, magnifico libro ( Con i soldi degli altri, Ei­naudi). I dati di Gallino, terri­bili, quelli sì sono veri. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/5/2009]