La Gazzetta dello Sport, 24 maggio 2009
Ieri diciassette anni dalla strage di Capaci, nella quale vennero uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta
Ieri diciassette anni dalla strage di Capaci, nella quale vennero uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta. Cinquantasei giorni dopo, la mafia fece saltare in aria una Fiat 126 parcheggiata in via D’Amelio a Palermo e uccise così il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta (i due eroici magistrati siciliani nella foto Contrasto). L’uomo che aveva azionato il telecomando di Capaci, cioè Giovanni Brusca, aveva già ammazzato il giudice Rocco Chinnici e confesserà poi di avere sulla coscienza almeno 150 persone, di molte delle quali non ricordava neanche il nome. Poche settimane prima di Falcone, la mafia aveva ammazzato Salvo Lima, uomo di Andreotti, e, poche settimane dopo Borsellino, due sicari armati freddarono Ignazio Salvo, l’«esattore della mafia». Ci furono poi le bombe di Roma, Milano, Firenze. E altri morti, molti morti. Ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricorrendo l’anniversario della strage di Capaci, ha ricordato a Palermo le vittime della mafia. Con lui il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. «Siamo qui per testimoniare la volontà e l’impegno di fare una battaglia vera contro la mafia. Una battaglia che vogliamo portare avanti sino in fondo». La Nave della Legalità ha portato a Palermo 1.500 tra ragazzi, insegnanti, accompagnatori, volontari. Un’iniziativa per non far dimenticare che cosa è la mafia e che cosa sono stati, per il loro Paese, giudici come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
• La mafia è battuta o no?
Battuta no, ferita e in crisi sì. Ma, purtroppo, altre organizzazioni criminali hanno preso il posto dei siciliani: i calabresi e i casalesi sono cresciuti in potenza e in relazioni internazionali. Oggi il crimine organizzato è la prima industria del Paese, con 90 miliardi di fatturato. Di questi 90 miliardi, solo 10-15 sono da attribuire alla mafia siciliana. La mafia dunque è stata messa seriamente in crisi. La malavita, no. Anzi, è anche cresciuta.
• Allora il sacrificio di Falcone e Borsellino è stato inutile?
No, e del resto il coraggio e i risultati raggiunti da quei due magistrati sono dimostrati proprio dal fatto che a un certo punto i corleonesi, che erano allora i capi di Cosa Nostra, decisero di liberarsene. Badi che ad ammazzare Falcone ci pensavano da 10 anni e avevano persino fatto le prove di un attentato col bazooka… Ma nel 1992 la situazione si era evoluta a tal punto che per loro non fu più possibile aspettare.
• Come mai? Che cosa era successo?
Secondo quello che ci hanno spiegato i magistrati, lo scoppio di Tangentopoli e la crisi di Democrazia cristiana e Partito socialista avevano fatto mancare alla diplomazia mafiosa gli interlocutori storici sul versante politico. La mafia – così come la camorra e la ’ndrangheta – parla con i politici, media i propri interessi con quelli di chi governa, piazza uomini suoi nelle strutture di potere. Nel momento in cui fu ucciso Falcone, c’era anche il vuoto al Quirinale (poi sarebbe stato eletto Carlo Azeglio Ciampi) e gli attentati erano messaggi mandati agli uomini nuovi che si stavano insediando al vertice del sistema: trattiamo, diteci chi ha il potere per discutere, altrimenti non la finiamo più.
• Sembra incredibile. E per mandare questi messaggi c’era bisogno di dare prova di una simile ferocia?
Riina, Brusca e gli altri non conoscono altro modo per farsi capire. Falcone e la moglie stavano arrivando da Punta Raisi. Sul ciglio della strada era stato piazzato, come segnale, un vecchio elettrodomestico. Quando l’auto fosse arrivata a quel punto, qualcuno, piazzato sulle colline, avrebbe azionato un telecomando e fatto esplodere quattrocento chili di plastico e tritolo piazzati in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. Ad azionare il telecomando fu poi Giovanni Brusca, detto u Verru, cioè “Il maiale” oppure u Scannacristiani, che non ho bisogno di tradurre. Per vendicarsi di Santino Di Matteo, che s’era pentito e aveva cominciato a parlare, Brusca gli rapì il figlio Giuseppe, di anni 11, un bambino con cui in passato aveva giocato. Lo tenne chiuso in una buca per tre anni, poi lo fece strangolare (l’ordine fu: «Allibertati di lu cagnuleddu», «Liberati del cagnolino»), quindi ordinò che venisse sciolto nell’acido. Oltre all’eroismo dei magistrati, non si devono dimenticare neanche questi orrori.
• Non sarà che nel frattempo Brusca gode di qualche regime di favore?
No, sta dentro. Nel 2004 avevano cominciato a permettergli di andare a trovare la famiglia. Ma le proteste furono tante e tali che trovarono la scusa che quando era fuori adoperava il telefonino – cosa proibitissima – per sospendergli qualunque favore. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 24/5/2009]