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 2009  maggio 30 Sabato calendario

Mario Draghi ha parlato un po’ prima del solito. Non l’ultimo giorno di maggio – che quest’anno cade di domenica – ma ieri, venerdì 29

Mario Draghi ha parlato un po’ prima del solito. Non l’ultimo giorno di maggio – che quest’anno cade di domenica – ma ieri, venerdì 29.

Mi interessa solo sapere se e quando usciremo dalla crisi.
Mi lasci dire ancora che si tratta delle tradizionali ”Considerazioni finali”, che chiudono in un certo senso l’an­no economico, fanno il punto della situazione, indicano le de­bolezze del sistema, suggerisco­no le possibili iniziative da pren­dere. Naturalmente la crisi do­mina tutto e il governatore ha confermato che va un po’ meno peggio di qualche mese fa, ma che per uscire definitivamente dalle sabbie mobili in cui ci tro­viamo ci vorrà tempo e fatica. Certi discorsi sono identici a quelli fatti l’anno scorso, per esempio quello relativo al ta­glio delle spese improduttive. Altri passaggi delle Considera­zioni risentono di quello che in questi ultimi dodici mesi si è ca­pito meglio. Per esempio, l’im­portanza del sostegno ai reddi­ti. Quasi tutti gli economisti concordano sul fatto che una delle ragioni profonde della cri­si è che la ricchezza, in questi ultimi anni, invece di diffonder­si su una platea più larga di uo­mini e donne, è andata concen­trandosi in un numero sempre più ristretto di mani. Questo ha contribuito alle difficoltà, per­ché per il sostegno della doman­da ci vogliono molti esseri uma­ni disposti a spendere qualcosa piuttosto che pochi individui in­clini a spendere molto (e i ric­chi, oltre tutto, di solito sono pure avari). Questo ragiona­mento sta dietro al forte accen­to che il governatore ha posto sulla politica dei redditi e sulla necessità di dotare il Paese di ammortizzatori sociali.

Ragionamenti da sindacalista?
No, o almeno non da sindacali­sta italiano. Draghi ha detto che l’età pensionabile va alzata e, come forse saprà, questo è per Cgil, Cisl e Uil (i cui iscritti sono per il 50% pensionati) un argomento tabù. Ma la questio­ne degli ammortizzatori sociali – cioè la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione – si pone così: i lavoratori in cas­sa e quelli alla ricerca di un’oc­cupazione sono adesso l’8,5% del totale e potrebbero salire al 10%. Ci sono 1,6 milioni di lavo­ratori dipendenti e subordinati che non hanno diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamen­to. Tra quelli impiegati nel set­tore privato, l’8% dei potenziali beneficiari di un qualche soste­gno non percepirà comunque più di 500 euro al mese. Più di due milioni di lavoratori a tem­po resterà senza contratto en­tro quest’anno. Direi che c’è po­co da aggiungere. In questo mo­mento ”politica dei redditi” si­gnifica soprattutto venire in soccorso di queste persone.

Lo Stato ha i soldi per interven­ti di questa portata?
Il governatore non esclude che si possa operare in deficit, ben­ché le cifre del nostro debito sia­no molto gravi (e lo ha detto). Tuttavia c’è una parola che Dra­ghi ha adoperato specialmente per le banche, ma che riempie di senso anche la politica del go­verno: ”lungimiranza”. Signifi­ca che tu puoi anche indebitarti per aiutare chi è in difficoltà, purché ci sia un piano a lungo termine che consenta a un cer­to punto di cominciare l’opera­zione di rientro. Il debito è un peso che può schiacciarci, spe­cialmente se non ci faremo tro­vare preparati alla fine della cri­si. E poi il sostegno a chi resta senza lavoro non può far dimen­ticare gli investimenti e lo svi­luppo. Qui il discorso riguarda anche le banche.

Infatti, ho visto sul «Sole 24 Ore» tante lettere di piccoli im­prenditori disperati perché ven­gono pagati in ritardo dallo Sta­to e, nello stesso tempo, la ban­ca non li aiuta a stare in piedi.
E’ così. Il governatore calcola che il ritardo nei pagamenti da parte dell’Amministrazione am­monti a 2,5 punti di Pil, cioè una quarantina di miliardi. Quanto alle banche dal bracci­no corto, anche qui Draghi invi­ta a essere lungimiranti: guar­dare i fondamentali dell’impre­sa, capirne la vocazione profon­da, imitare le banche degli anni Cinquanta e Sessanta che so­stennero il tessuto di piccola e media imprenditorialità nel momento di maggior rischio, quello della nascita. La parola ”lungimiranza” riferita alle ban­che ha anche un contenuto mo­rale: smettetela – dice implicita­mente il governatore – di fare i conti sul breve termine, cioè sulla necessità di incassare il maggior numero di profitti nel più breve tempo possibile. Que­sta è stata un’altra delle cause profonde della crisi. Si deve in­vece dar tempo all’iniziativa in­dustriale di crescere e svilup­parsi. E, in questo momento sto­rico, di resistere.

Insomma la crisi non è finita e non si sa quando finirà.
Per noi è in atto da molto tem­po, perché veniamo da una quindicina d’anni di bassa cre­scita. E quest’anno il Pil calerà di almeno il 5%. Ci vogliono le riforme, dice Draghi, ci vuole un ritorno della fiducia. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 30/5/2009]