La Gazzetta dello Sport, 31 maggio 2009
Per ora, la partita Opel è stata vinta dagli austro-canadesi di Magna, cioè dai soldi russi di Putin e Oleg Deripaska, come abbiamo spiegato nei giorni scorsi
Per ora, la partita Opel è stata vinta dagli austro-canadesi di Magna, cioè dai soldi russi di Putin e Oleg Deripaska, come abbiamo spiegato nei giorni scorsi. Dopo il via libera di Gm e una telefonata tra la Merkel e Obama, l’altra notte alle due è stato dato l’annuncio dal ministro delle Finanze tedesco, il socialdemocratico Peer Steinbrück: Opel sarà di Magna, che promette di diventare un gruppo da cinque milioni di automobili l’anno, con forti capacità di espansione sul mercato russo. La Merkel ha detto che si tratta di «una soluzione ragionevole ». La cancelliera era inizialmente incline a Fiat, ma in quella specie di asta che si è svolta tra i due concorrenti nell’ultima settimana, il Lingotto ha abbandonato all’ultimo rilancio, spiegando che, poiché non era stato consentito a nessuno di guardar bene dentro i conti di Opel, era impossibile spingersi oltre. I russi hanno invece messo sul tavolo 300 milioni per entrare nell’affare, e in questo modo hanno vinto. Il vertice di Gm ha anche fatto sapere di non aver voluto rafforzare Chrysler – un futuro concorrente – attraverso la cessione di un asset importante a Fiat. Nella nuova società, Magna avrà il 20%, la banca russa Sberbank (Putin-Deripaska) il 35%, Gm (cioè in definitiva il Tesoro americano) un altro 35%, i sindacati tedeschi il 10%. Franceschini ha accusato della sconfitta il governo italiano: «Un’occasione perduta. Mi pare che altri governi si siano impegnati in modo molto determinato per sostenere le loro imprese. Da noi c’è stata un po’ di distrazione».
• E il governo?
Calderoli gli ha risposto: «Se non ci fosse stato l’intervento del governo, con il decreto anti crisi ed in particolare quello per gli incentivi per il settore auto, la Fiat non avrebbe certo potuto acquisire Chrysler nè tanto meno avrebbe potuto concorrere all’acquisizione di Opel. Ancora una volta Franceschini ha perso un’occasione per stare zitto».
• Sa che non me ne faccio una ragione? Parlando con lei, m’ero convinto che Fiat ce l’avrebbe fatta.
Intanto non è ancora detto: la firma vera e propria verrà messa solo tra cinque settimane e gli stessi uomini politici tedeschi hanno ammesso che i rischi di questo accordo sono notevoli. Noi credevamo che Fiat, in definitiva, ce l’avrebbe fatta e che la Merkel avrebbe tirato per le lunghe la faccenda in modo da uscire dalle sabbie mobili della campagna elettorale, perché abbiamo guardato troppo al piano industriale effettivo e abbiamo sottovalutato la grande influenza del governo russo su tutti e due gli attori in campo, cioè i governi tedesco e italiano. Molto semplicemente: entrambi dipendono da Mosca per le forniture di gas. Quindi Merkel s’è piegata e Palazzo Chigi non l’ha fatta troppo lunga. Tanto più che anche i sindacati italiani hanno sempre preferito la soluzione Magna, convinti che in questo modo Termini Imerese e Pomigliano avrebbero corso meno rischi. Inoltre Fiat ha piuttosto ignorato il governo, soprattutto nella trattativa Chrysler. Dunque l’eventuale distrazione di Palazzo Chigi è anche un frutto dello stile di Marchionne. C’è poi anche qualche considerazione finanziaria da fare: l’indebitamento Fiat è giudicato più pericoloso di quello di altre case automobilistiche, i cds Fiat – quei titoli derivati che assicurano contro le insolvenze – costano in punti base il triplo di quelli di Peugeot, Daimler e Bmw e il doppio di quelli di Renault. La debolezza finanziaria dei torinesi, tenuta ben nascosta nella partita Chrysler, ha pesato qui. Tanto più che i russi avevano invece ottenuto da Commerzbank una linea di credito da 4 miliardi di euro.
• Non s’erano impegnate per Fiat anche Intesa e Unicredit?
Sì, ma genericamente.
• Possibile che Torino non potesse tirar fuori 300 milioni per stoppare Magna?
Possibilissimo, essendo l’ipotesi di Fiat tutta industriale. Il Financial Times ha dato ragione a Marchionne: spingersi oltre con le offerte, specialmente con i conti veri di Opel tenuti in ombra, sarebbe stato troppo rischioso.
• E allora perché quegli altri non hanno avuto paura?
La soluzione scelta per Opel è tutta politica. Riguarda i rapporti Mosca-Berlino (e la partita del gas), la campagna elettorale che vede in lizza i due partiti costretti dal pareggio dell’altra volta a governare insieme e perciò la necessità di licenziare il meno possibile, il peso lobbistico del sindacato tedesco col quale la Fiat non ha saputo parlare, la logica stessa del sistema di quel Paese, tutto centrato sull’economia sociale di mercato. Come ha scritto qualcuno, i nuovi padroni di Opel – cioè gli stati russo, tedesco e americano – si aspettano di incassare dall’operazione soprattutto dei dividendi sociali. Se poi saranno i contribuenti a pagare, pazienza. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 31/5/2009]