La Gazzetta dello Sport, 15 giugno 2011
Passato il referendum, siamo come color che son sospesi, dato che nulla capiremo intorno ai destini di Berlusconi, del governo e della legislatura fino a che Bossi, domenica a Pontida, non avrà detto (anzi gridato) quel che la Lega pretende per restare alleata del Pdl, ed entro quanto tempo lo pretende
Passato il referendum, siamo come color che son sospesi, dato che nulla capiremo intorno ai destini di Berlusconi, del governo e della legislatura fino a che Bossi, domenica a Pontida, non avrà detto (anzi gridato) quel che la Lega pretende per restare alleata del Pdl, ed entro quanto tempo lo pretende. Sempre ammesso che Bossi non sia fischiato o che il pratone non si presenti semi-deserto, eventi che forse farebbero precipitare definitivamente la situazione. Ieri Maroni ha ripreso la metafora delle sberle: «La sberla del referendum fa male ma può essere un’occasione per rinsavire». La via della risalita consiste, per il ministro, nella riforma del fisco, con un occhio prima alle imprese, in particolare quelle piccole e piccolissime (gli artigiani del Nord sono robustamente rappresentati nella base leghista), e poi alle famiglie. Tremonti, che era appunto andato all’assemblea annuale della Confartigianato, ha risposto lumeggiando una riforma basata su tre aliquote.
Ha trovato i soldi? Non erano 80
miliardi?
Non ha detto questo. Intanto prima di lui il
presidente di Confartigianato, Giorgio Guerrini, aveva ricordato che in Italia
il carico tributario è superiore di 3,5 punti di Pil rispetto alla media
europea, pari a 54 miliardi di euro di maggiori imposte. Inoltre gli
imprenditori perdono per gli adempimenti burocratici 285 ore all’anno, cioè 36
giorni lavorativi, il 43% in più rispetto alla media Ocse. Quindi, oltre a una
minore pressione fiscale, ci vuole un sistema più semplice. Tremonti aveva
l’obbligo di rispondere e ha spiegato che per lui «sarebbe giusto un sistema
con tre aliquote». Aliquote da mettere più in basso possibile, in modo da
ridurre l’evasione e avere una platea vasta di contribuenti a cui far pagare le
tasse secondo tre criteri: i figli, il lavoro, i giovani. Invece di tante
imposte, poi, meglio averne cinque sole, accorpando le attuali. I soldi si
possono trovare tagliando quelle punte della spesa assistenziale che sono
sfruttate da chi non ha bisogno, gente con il Suv eccetera. Secondo Tremonti
«un bacino enorme». E poi «nella spesa fiscale c’è un enorme catalogo di voci e
regimi di favore, ci sono 471 voci di esenzioni che valgono in totale 150
miliardi. Un magazzino tutto da rivedere».
Se le cose stanno così, perché non ci hanno
pensato prima?
Beh, a dire la verità, è un pezzo che ci pensano o
dicono di pensarci. Per esempio, la storia delle tre aliquote non è mica nuova.
Anzi ci fu un’epoca in cui Berlusconi e Tremonti di aliquote volevano metterne
addirittura due.
Addirittura. E quando?
Per esempio nel 2002 – governo Berlusconi con
Tremonti ministro dell’Economia - i giornali annunciaron «Dal primo gennaio 2003 potrebbe esserci un
nuovo sistema fiscale che, gradualmente, si baserà su due sole aliquote invece
delle attuali cinque. Chi guadagna fino a centomila euro pagherà in base a
un’aliquota del 23 per cento, chi guadagna di più avrà un’aliquota del 33 per
cento». Bello, eh? Nel 2004 Berlusconi ribadì la storia delle due aliquote e
aggiunse: «Se non ci riesco, mi ritiro dalla politica». Fini era contrarissimo
e molto irritato. Raffaele Costa, il liberale specialista nella lotta agli
sprechi, intervenne subito nel dibattito sostenendo che tagliare 12 miliardi di
costi inutili era facile. Ci voleva solo «coraggio, coraggio, coraggio»
(testuale).
È il discorso che fa Maroni adesso. Ma in che
consiste questo «coraggio» tanto invocato?
Il coraggio di toglier di mezzo privilegi, cioè di
colpire intere categorie di elettori che godono di qualche vantaggio.
Nell’ottobre del 2004 il nuovo ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco
(Fini aveva preteso la testa di Tremonti) rinvia la riduzione delle aliquote e
i giornali scrivono così: «Berlusconi, conscio che la questione è fondamentale
per la sua rielezione, comincia a farsi prendere dall’ansia, e si fanno sempre
più insistenti le voci di contrasti col ministro del Tesoro: tanto per
cominciare, Brunetta, consigliere economico del premier, l’ha pesantemente
attaccato sul ”Giornale” (qualcuno l’accusa addirittura di "intelligenza
col nemico")».
Ma è identico ad ora. Brunetta, l’intelligenza
col nemico…
A novembre però Siniscalco presentò il piano di
tagli delle tasse e delle spese. Leggero aumento delle detrazioni Irpef, Irap
ridotta, «e dal 2006 l’introduzione di tre aliquote del 23 per cento per i
redditi fino a 23 mila euro, del 33 per cento per la fascia 23-33.500 e del 39
per cento per chi guadagna più di 33.500 euro l’anno». Seguiva il taglio delle
spese, che prevedeva «il blocco dal 2005 delle assunzioni nel pubblico impiego
e il taglio dell’1 per cento l’anno dei docenti e del personale ausiliario
della scuola». Ma la Moratti, ministro della P.I., protestò a gran voce, per
non parlare di Fini e di quelli di An, capi all’epoca del partito della spesa.
Non se ne fece perciò niente. Vale a dire: quella classe di governo non ebbe
abbastanza coraggio per tagliare dove bisognava tagliare. Maroni adesso ha
ritirato fuori quella parola, “coraggio”. Sarebbe per caso disposto, mettiamo,
a risparmiare soldi tagliando le province[Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15 giugno 2011]