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 1918  settembre 20 Venerdì calendario

Il sangue e le stimmate dopo una messa

• «Era la mattina del 20, dopo la celebrazione della messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile a un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, non che le stesse facoltà dell’anima si trovarono in una quiete indescrivibile. In tutto questo vi fu un totale silenzio intorno a me e dentro di me; vi subentrò subito una gran pace ed abbandono alla completa privazione del tutto e una posa nella stessa rovina. Tutto questo avvenne in un baleno. E mentre tutto questo si andava operando, mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. La sua vista mi atterrisce: ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo. Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a sostenere il cuore, il quale me lo sentivo sbalzare dal petto. La vista del personaggio si ritira e io mi vidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che sperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni. La ferita del cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal giovedì sera sino al sabato».

• L’accusa. Il farmacista Valentini Vista racconta al vescovo di Foggia, monsignor Salvatore Bella, che sta raccogliendo un dossier per il Vaticano su padre Pio, come è andato l’incontro della cugina, Maria De Vito, lei stessa proprietaria di una farmacia, con il frate: «Quando ella tornò a Foggia mi portò i saluti di padre Pio e mi chiese a nome di lui e in stretto segreto dell’acido fenico puro dicendomi che serviva per padre Pio, e mi presentò una bottiglietta della capacità di un cento grammi, bottiglietta datale da padre Pio stesso, sulla quale era appiccicato un bollino col segno del veleno (cioè il teschietto di morte) e la quale bottiglietta io avrei dovuto riempire di acido fenico puro che, come si sa, è un veleno e brucia e caustica enormemente allorquando lo si adopera integralmente. A tale richiesta io pensai che quell’acido fenico adoperato così puro potesse servire a padre Pio per procurarsi o irritarsi quelle piaghette alle mani». «Agli atti del Sant’Uffizio figurava anche la trascrizione di una seconda lettera autografa del cappuccino a Maria De Vito, il cui poscritto corrispondeva esattamente al tenore della deposizione di quest’ultima: “Avrei bisogno di un 4 grammi di veratrina. Ti sarei molto grato, se me la procurassi costì, e me la mandassi con sollecitudine”». [Luzzatto 2007]

• La difesa. «Non esiste alcuna prova che quei quattro grammi di acido fenico – sostanza con proprietà antisettiche, usato solitamente come disinfettante – siano stati adoperati dal futuro santo per provocarsi le ferite. E dalle migliaia di pagine del processo canonico emerge un’altra verità. Le stimmate di padre Pio furono esaminate attentamente dal professor Festa, che il 28 ottobre 1919 scrisse una dettagliatissima relazione accertando che esse “non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e che neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti”. Anche il dottor Bignami fece un esperimento sulle mani di padre Pio, sigillando le sue piaghe per due settimane, con tanto di firme di controllo. Alla riapertura delle bende, sanguinavano come il primo giorno e non si erano né rimarginate né infettate. La prova dell’inconsistenza dell’accusa sta proprio in questo: se il frate si fosse procurato con l’acido le piaghe, queste si sarebbero chiuse oppure sarebbero andate in suppurazione. Per cinquant’anni, invece, sono rimaste inspiegabilmente aperte e sanguinanti». [Andrea Tornielli, Giorn. 24/10/2007]