La Gazzetta dello Sport, 12 giugno 2011
Siamo di nuovo i primi produttori di vino al mondo e questa notizia ci fa piacere intanto perché abbiamo sorpassato i nostri rivali di sempre in questo settore, cioè i francesi, e poi perché siamo subissati ogni giorno da rapporti che dimostrano come siamo agli ultimi posti quasi in tutto, il paese non cresce, gli italiani non hanno voglia di lavorare, eccetera eccetera
Siamo di nuovo i primi produttori di vino al mondo e questa notizia ci fa piacere intanto perché abbiamo sorpassato i nostri rivali di sempre in questo settore, cioè i francesi, e poi perché siamo subissati ogni giorno da rapporti che dimostrano come siamo agli ultimi posti quasi in tutto, il paese non cresce, gli italiani non hanno voglia di lavorare, eccetera eccetera. L’ultimo in ordine di tempo è stato il rapportone di 14 pagine preparato dal settimanale “The Economist” che puntando a demolire Berlusconi («The man who screwed an entire country», «L’uomo che ha fregato un intero paese», titolo di copertina) denuncia soprattutto la nostra bassa crescita, appena superiore a quella dello Zimbabwe.
Nel vino invece…
Beh, i dati sono consolanti. Provengono dalla
Coldiretti, che li ha a sua volta ricavati dalle tabelle della Commissione Ue.
Sostanzialmente è accaduto quest la produzione è calata fortemente in
Germania, Cechia, Ungheria, Austria e Romania (dal 25 al 51%) ed è scesa anche
in Francia, di appena l’1%, una quota sufficiente però a riconsegnare il
primato all’Italia la cui vendemmia 2010-2011 è risultata uguale in termini
quantitativi a quella dell’anno precedente. Qualche numer abbiamo sfornato
49,6 milioni di ettolitri (1 ettolitro = cento litri) pari a un fatturato di
7,82 miliardi, contro i 46,2 milioni di ettolitri della Francia. Tutta l’Europa
vale 157,2 milioni di ettolitri (-3,7%). Secondo Saverio Romano, ministro delle
politiche agricole, potremmo ancora crescere.
Sì, ma sul
piano della qualità? Perché magari produciamo di più, ma il vino è diventato
scadente.
A leggere questi rapporti non si direbbe. Sempre in
base a quello che dice la Coldiretti possiamo contare su un numero di riconoscimenti
maggiore di quelli attribuiti alla produzione francese, 504 vini a
denominazione di origine controllata (Doc) controllata e garantita (Docg) e a
indicazione geografica tipica (Igt). I dati del primo bimestre 2011 mostrano un
incremento delle esportazioni del 15% (specie verso Usa e Cina), boom che
sarebbe difficile ottenere con un vino di qualità discutibile. Domenico Bosco,
responsabile del settore enologico coldiretti, sostiene addirittura che il vino
italiano è di moda. Il settore dà complessivamente lavoro a un milione e
duecentomila persone. Intorno al vino gravitano aziende di tutti i tipi: oltre
a quelle ovvie (agricoltura, trasformazione, commercio-ristorazione,
distribuzione) anche quelle che ci verrebbero in mente con più difficoltà: dalle
assicurazioni ai cavatappi, dall’editoria all’industria del benessere (esiste
anche l’enoterapia). C’è pure il turismo, in questa lista: il vino muove il 7%
di tutto il flusso vacanziero verso il nostro paese.
Visto che oggi abbiamo deciso di parlare bene
dell’Italia: altri settori in cui primeggeremmo?Il cibo è comunque un prodotto di punta nostro, con
testimonal stranieri d’eccezione.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel si è
guadagnato il soprannome di «cancelliera della pasta». Il britannico Gordon
Brown nel libro Saints and Celebrities Cookbook ha indicato i “fagottini di mozzarella” come suo piatto preferito.
Nicolas Sarkozy e Carla Bruni adorano la caprese con mozzarella di bufala
campana, pomodoro fresco e basilico. Michelle e Barack Obama amano risotti e
spaghetti: gli stringozzi alla carbonara sono il piatto preferito della first
lady, la pizza è la passione culinaria del presidente degli Stati Uniti.
Secondo Coldiretti l’Italia è l’unico paese al mondo a poter offrire 4.471
prodotti tradizionali regionali.
E al di fuori del comparto mangereccio?
A parte un numero impressionante di nicchie (il
famoso tessuto produttivo italiano fatto di aziende piccole ad alta
specializzazione), un comparto di importanza enorme è quello della moda.
Nonostante le tante difficoltà dell’industria tessile, messa fortemente in
crisi dalla concorrenza cinese, la moda continua a essere il fiore
all’occhiello del made in Italy. Sentiamo Franca Sozzani, direttrice di Vogue:
«Non esiste paese al mondo con una così alta concentrazione di marchi come
l’Italia. Questi marchi sono famosi, hanno successo perché sono il risultato di
menti creative, perché sono propositivi, reali e, qualità da non sottovalutare,
portabili. Abbiamo stilisti così famosi da essere più volte citati in film
stranieri o il cui nome è diventato il titolo stesso di un film. Nelle strade
dello shopping più note di ogni città e paese i nomi italiani sono quelli con
il maggior numero di negozi».
Potremmo concludere che l’Economist ha torto?
No, perché il paese non cresce, questo è innegabile
e sono innegabili anche le responsabilità di Berlusconi che ha governato per
otto degli ultimi dieci anni. Però, come ha scritto un intelligente confutatore
delle tesi troppo sicure del settimanale britannico, «ci sono più cose in cielo
e in terra d’Italia, di quante ne contenga la filosofia del settimanale di St.
James»
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 12 giugno 2011]