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 2011  giugno 11 Sabato calendario

Domani e lunedì, nuova battaglia politica di grande importanza: sono aperte le urne per votare sì o no a quattro quesiti referendari riguardanti la privatizzazione della gestione dell’acqua, la costruzione di impianti nucleari in Italia e la facoltà del presidente del Consiglio di opporsi alle convocazioni del tribunale adducendo il cosiddetto “legittimo impedimento”

Domani e lunedì, nuova battaglia politica di grande importanza: sono aperte le urne per votare sì o no a quattro quesiti referendari riguardanti la privatizzazione della gestione dell’acqua, la costruzione di impianti nucleari in Italia e la facoltà del presidente del Consiglio di opporsi alle convocazioni del tribunale adducendo il cosiddetto “legittimo impedimento”. Chi vota “sì” sceglierà di abrogare la legge, chi vota “no” sarà invece per mantenerla. I fautori del “no” hanno un’arma in più rispetto ai fautori del “sì”: possono non votare. Se infatti i votanti saranno inferiori alla metà più uno degli aventi diritto, il referendum non produrrà alcun effetto e le leggi in discussione resteranno in vigore. La conta degli aventi diritto al voto è complicata dal fatto che dalle circoscrizioni estere hanno già votato, però adoperando schede che non sono più valide (ci sono state negli ultimi giorni sentenze della Cassazione relative al quesito sul nucleare e ricorsi respinti del governo). A questo punto: gli aventi diritto che vivono fuori d’Italia entrano oppure no nella conta realtiva al quorum? Un quesito a cui dovrà rispondere la Cassazione (tra lunedì e giovedì). Se dunque il numero dei votanti fosse sul filo, potremmo dover attendere tre o quattro giorni per conoscere l’esito della consultazione. S’intende che chi vuole astenersi su certi quesiti e votare su altri dovrà soltanto non ritirare la scheda relativa al seggio.

  Andiamo con ordine. Qual è il primo referendum?
I referendum numero 1 e 2, che riguardano l’acqua. Scheda rossa e scheda gialla. Nella campagna dei fautori del “sì” si è battuto ossessivamente sul concetto di «privatizzazione dell’acqua», «dite no alla privatizzazione dell’acqua eccetera». In realtà non si tratta di quest l’acqua resterà in ogni caso un bene pubblico, cioè fiumi, laghi, polle e falde sono dello Stato e nessuno ha intenzione di togliergliele. Si parla qui dei “servizi” e cioè di quell’attività che permette all’acqua, depurata, di raggiungere le nostre case. In altri termini: chi deve occuparsi di potabilità, distribuzione, collettamento nelle fognature, depurazione e scarico nei fiumi, nei laghi e nel mare? L’articolo 23bis della legge Ronchi – quello eventualmente da abrogare – assegna queste operazioni ai privati, calcolando che solo i privati hanno i denari sufficienti (una settantina di miliardi da investire) perché la rete funzioni. Il secondo quesito referendario chiede invece l’abrogazione del decreto numero 52 3/4/2006 in cui si prevede che il privato investitore sulla gestione idrica abbia un profitto almeno del 7% (media europea). Votando “sì” si proibirà in pratica a chi tira fuori i soldi per riparare un acquedotto (mettiamo) di guadagnarci su. Dei quattro referendum, questi due sono quelli dall’esito più incerto. Come sempre, ci sono gestioni private che hanno funzonato e altre che non hanno funzionato, e idem per le gestioni pubbliche.

Chi sono i privati che potrebbero investire in questo settore?
A parte Caltagirone, che ha il 15% di Acea, le società in questione sono sostanzialmente due: Gdf-Suez e Veolia. Il paradosso è che queste società sono in realtà pubbliche, perché controllate dallo stato francese.

Veniamo al terzo referendum, quello riguardante il nucleare.
In origine si trattava di abrogare la legge con cui il governo Berlusconi s’era impegnato a costruire – sempre per mano francese – otto centrali. Lo stesso governo – per evitare che i referendum raggiungessero il quorum – aveva cancellato quella decisione con l’articolo 5 dell’ultimo decreto Omnibus. I commi 1 e 8 di questo articolo lasciano però al presidente del Consiglio la facoltà, tra un anno, di riprendere in mano la questione dell’energia nazionale ed eventualmente di optare nuovamente per il nucleare. La Cassazione ha perciò deciso che il quesito referendario si trasferisca su questi due commi, con un effetto finale formalmente curioso. Se vinceranno i “sì”, il governo (questo e i futuri) non potranno procedere «alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare» (comma 1). E non potranno neanche adottare una «Strategia Energetica Nazionale», come previsto dal comma 8, il che è assurdo perché – nucleare o non nucleare – una strategia energetica nazionale ci vuole. Suppongo che basterà chiamare il piano in un altro modo. E comunque la vittoria del “sì” allontanerebbe del tutto la possibilità di costruire centrali nucleari in Italia, almeno per molti anni.

Resta il quesito sul legittimo impedimento.

La legge cosiddetta del legittimo impedimento permette al presidente del consiglio di rispondere al giudice che lo convoca: «Ho da fare per via della mia carica». Dopo l’intervento della Corte costituzionale la congruità di questa risposta deve essere valutata dal giudice, e dunque la legge è già a suo modo dimezzata. Una forte vittoria dei “sì” in questo referendum avrebbe quindi un significato altamente politico, sarebbe la conferma che il carisma di Berlusconi è in calo.

Che farebbe il premier in questo caso?
Ha già fatto sapere che varerebbe a tutta velocità la legge sul processo breve, ferma oggi al Senato. In caso di sopravvivenza del governo, naturalmente

[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 11 giugno 2011]