La Gazzetta dello Sport, 9 marzo 2010
Ieri Renato Vallanzesca, il famoso bandito, è andato a lavorare nel laboratorio milanese Ecolab, una cooperativa quasi tutta di ex detenuti, che fabbrica a basso prezzo cinture, borsette portafogli
Ieri Renato Vallanzesca, il famoso bandito, è andato a lavorare nel laboratorio milanese Ecolab, una cooperativa quasi tutta di ex detenuti, che fabbrica a basso prezzo cinture, borsette portafogli. Il famoso bandito era emozionato. Ha guardato un po’ quello che facevano i suoi compagni di lavoro, s’è misurato col taglierino, ha soprattutto preparato il caffè per tutti, tre volte. Parecchi cronisti hanno tentato di fargli dir qualcosa. Lui li ha evitati, prima arrivando al lavoro prestissimo, poi all’uscita, dove lo aspettava la Panda rossa che lo avrebbe ricondotto nel carcere di Bollate, ficcandosi in testa il cappuccio del giubbotto scuro. La cooperativa Ecolab è stata fondata dalla moglie di Vallanzasca, Antonella D’Agostino, proprio per recuperare i carcerati. Antonella ha detto che il cosiddetto bel René ha accettato di andare a lavorare solo per fare un favore a lei.
• Ma… l’hanno liberato?
No, è solo una semilibertà. Può andare a lavorare di giorno, in questa cooperativa, ma la sera deve rientrare a Bollate e passare la notte in cella. Ha sul groppone quattro ergastoli per complessivi 260 anni di carcere. Sette omicidi, tre sequestri di persona, un numero impressionante di rapine a mano armata che le schede d’archivio riassumono così: «Ne ha fatte settanta in 200 giorni». entrato per la prima volta in galera nel 1972, è evaso almeno quattro volte. Nel 1987 scappò dalla nave che lo stava portando all’Asinara. Ha poi raccontato di aver telefonato a una trentina di ex amici, chiedendo aiuto. E di aver trovato solidarietà in sole cinque persone. Tutte donne. Infatti, il bel Renè era assai seducente e le donne – madri di famiglia, figlie timorate – si facevano fotografare tutte nude e poi gli mandavano quelle immagini in carcere, con lettere cariche di passione. Quando lui gli rispondeva: «Queste cose falle con tuo marito», quelle gli replicavano: «No, le farei solo con te». Questo è precisamente il guaio. Vallanzasca è seducente e simpatico. Anzi, simpaticissimo.
• E dov’è il guaio?
Che Michele Placido ci sta facendo un film sopra, la parte di Vallanzasca è di Kim Rossi Stuart, bello e simpatico pure lui, quindi la gente parteggerà per il bandito – si dice – dunque, ancora una volta, dopo il caso televisivo di Totò Riina, capo dei capi, si proporrà al pubblico come positivo un modello che non può che essere negativo. Ha ammazzato sette persone, a uno ha pure tagliato la testa, che scherziamo? Per uno così è obbligatorio che il pubblico provi ripugnanza. Le famiglie delle vittime, prevedendo l’ondata di simpatia per l’assassino dei loro congiunti, hanno già protestato.
• Giusto.
Sì? Forse no. Cioè, capisco benissimo la protesta e magari, fossi stato nei loro panni, avrei protestato anch’io. Però, come si potrebbe intervenire, scusi? Non c’è la libertà d’espressione? Si può fare una legge che proibisce di far film sui contemporanei? E allora perché non proibire anche i libri o le canzoni o magari gli articoli di giornali dedicati ai fatti di oggi? Perché poi il mito di Vallanzasca l’hanno creato proprio i giornali.
• Magari, per fare il film, Placido riceve soldi dallo Stato.
Non Placido, ma la produzione, sì, riceve soldi dallo Stato, cioè Elide Melli, della Cosmo, andrà a ritirare tra pochi giorni un milione e duecentomila euro di contributo. Un milione e due su un budget di sette milioni. Co-produce la Twentieth Century Fox, che non veniva a investire in Italia da 31 anni. Però, no: l’argomento che almeno lo Stato poteva astenersi dal dare il finanziamento non regge. In generale io sono contrario agli aiuti di Stato, ma se si devono dare, beh, si prescinda per quanto possibile dal contenuto delle opere, per favore. Se uscisse fuori un capolavoro?
• Ma perché poi Vallanzasca è tanto simpatico?
A un certo punto chiese la grazia (invano) e nella domanda scrisse: «Perché dovrebbe essermi concessa la Grazia? Sinceramente non lo so. Pensandoci e ripensandoci mi sovvengono molte più ragioni per non concedermela, visto i tanti disastri commessi». Un giornalista gli chiese: «Quindi, lei la grazia non se la darebbe?» E Vallanzasca rispose: «Nemmeno lontanamente». E spiegò che la chiedeva solo per fare un piacere alla mamma. Simpatico, no? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 9/3/2010]