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 2010  marzo 31 Mercoledì calendario

Il gioco delle elezioni non è ancora finito. Dopo lo spoglio dei dati delle regionali, c’è stato quello delle provinciali e delle comunali

Il gioco delle elezioni non è ancora finito. Dopo lo spoglio dei dati delle regionali, c’è stato quello delle provinciali e delle comunali. Il risultato più eclatante si è registrato a Venezia, dove il ministro Brunetta, contrariamente a quanto si credeva, è stato battuto nettamente, per la carica di sindaco, dal candidato del centro-sinistra, Giorgio Orsoni, un cattolico di poche parole (quindi l’opposto esatto di Brunetta), messo in pista per decisione dello stesso Cacciari, sindaco uscente. La prima dichiarazione di Orsoni è molto simile alla prima dichiarazione di Renata Polverini, il nuovo governatore – però pidiellino – del Lazio. Orsoni: «Gli assessori li sceglierò io, non saranno i partiti a farlo, e ci saranno molti giovani». Polverini, che ha vinto per appena 77 mila voti: «Non abbiamo fatto alleanze politiche e ho detto che la giunta l’avrei fatta io e la farò io perché da ieri sono il presidente della Regione Lazio. Analizzeremo i dati e in base a questo la comporremo». Questa dichiarazione va letta in funzione dei tanti pezzi grossi romani rimasti a bocca asciutta per la disavventura della lista Pdl che non ha corso a Roma. Quanto alle provinciali e alle comunali, i risultati sono questi: nelle quattro elezioni provinciali (L’Aquila, Imperia, Viterbo e Caserta) ha vinto il centro-destra. Votavano per il sindaco e per la giunta comunale 463 città. Nei nove centri più importanti è andata così: il centro-sinistra ha preso al primo turno Venezia, Lecco (dove è stato battuto il leghista Castelli) e Lodi; il centro-destra ha preso al primo turno Andria e Chieti. Vanno al ballottaggio Matera, Macerata, Mantova e Vibo Valentia, tutti comuni dove al primo turno era in vantaggio il candidato di centro-sinistra.

Che ha detto Brunetta quando ha saputo della sconfitta?
Che non tenterà mai più di diventare sindaco di Venezia. Che ha perso per colpa della Lega, nell’elezione cittadina secondo lui ha raccolto molti meno voti rispetto alle Regionali. La Lega è un po’ al centro di tutto, a parte la Puglia dove si è verificato il caso Fitto.

Cioè?
Sto parlando delle dimissioni di Fitto, che si sente responsabile della sconfitta del Pdl in Puglia. Raffaele Fitto, ministro degli Affari regionali, 41 anni, nato a Maglie, la città di Moro, una potenza nella sua regione, grazie soprattutto all’abilità della mamma, è stato governatore tra il 2000 e il 2005 e poi battuto da Vendola e trasferito per consolazione al governo. Berlusconi voleva allearsi con la Poli Bortone e candidarla contro Nichi Vendola. Della coalizione, in questo caso, avrebbe fatto parte anche l’Udc. Invece Fitto ha voluto lasciar fuori la Poli Bortone (che fu un’importante esponente di An e sindaco per otto anni di Lecce) e ha convinto Berlusconi che Rocco Palese, un medico di 57 anni, da solo ce l’avrebbe fatta. Amara lezione: con i voti raccolti dall’alleanza Poli Bortone-Udc, il Popolo della Libertà avrebbe vinto in Puglia e sorpassato il centro-sinistra a livello nazionale per 7 regioni a 6. Vendola s’è fatto beffe di Fitto dichiarando di aver fondato l’associazione “nessuno tocchi Raffaele”, «è stato per me un alleato troppo prezioso, la sua idea della lotta politica è talmente primitiva e insultante».

Vogliamo affrontare il capitolo Lega? Tutti pensano che la vittoria di Bossi sia troppo eclatante per non produrre contraccolpi sul governo.
Lo hanno chiesto a Berlusconi, che ha risposto così: «L’alleanza tra Popolo della Libertà e Lega è una robusta forza di cambiamento nelle Regioni più importanti, garanzia del rinnovamento e della modernizzazione del Paese». Quindi, non ci sarebbero problemi. Bossi però subito dopo il voto aveva affermato che di sicuro la Lega avrebbe condizionato ancora di più il governo, «vorrei vedere altrimenti che cosa ci stiamo a fare» e, come sappiamo da parecchi giorni, la prima idea del Senatur è che a sindaco di Milano, l’anno prossimo, deve correre uno dei suoi o addirittura lui stesso. La Moratti, quindi, se ne andrebbe a casa senza tentare un secondo mandato. Su questo è intervenuto ieri La Russa: «Quello che rilevo è che a Milano il Pdl è largamente il partito maggioritario. Il 14% dei milanesi ha votato per la Lega e quindi sarebbero felici, ma c’è una larga maggioranza che ha votato Pdl e tra questi ci sono io».

Quindi?
Quindi – dice – quella di Bossi è una battuta, tra un anno ne riparleremo e intanto «non provate a farci litigare». Però un alto là a Bossi è arrivato anche da Fini: «Sia il Pdl a dettare l’agenda e non la Lega. La Lega è un alleato fedele e leale, ma che non può pretendere di comandare un partito potenzialmente del 40%».

Ci sarà qualche nuova guerra con Fini?
Fini ieri ha telefonato a Berlusconi per congratularsi. I due s’incontreranno dopo Pasqua, forse anche con Bossi, per discutere il cammino delle riforme. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 31/3/2010]