La Gazzetta dello Sport, 4 aprile 2010
Oggi è Pasqua, e il mondo dovrebbe essere in pace. Ma proprio ieri Ahmadinejad ha risposto duramente agli americani che lo invitavano, per dir così, alla moderazione nucleare: «Cos’è cambiato? Le vostre sanzioni sono state tolte? La propaganda contro di noi è stata fermata? La pressione è stata alleggerita? Avete modificato il vostro atteggiamento in Iraq, Afghanistan e Palestina?»
Oggi è Pasqua, e il mondo dovrebbe essere in pace. Ma proprio ieri Ahmadinejad ha risposto duramente agli americani che lo invitavano, per dir così, alla moderazione nucleare: «Cos’è cambiato? Le vostre sanzioni sono state tolte? La propaganda contro di noi è stata fermata? La pressione è stata alleggerita? Avete modificato il vostro atteggiamento in Iraq, Afghanistan e Palestina?». L’altro giorno gli israeliani hanno compiuto sette raid sulla Striscia di Gaza, ferendo tre bambini e distruggendo – pare – qualche fabbrica di missili. La pace è una speranza remota, anche a Pasqua.
• Quante guerre ci sono al mondo, a questo punto?
Una trentina, la maggior parte in Asia e in Africa. Ma è dubbio che si possa sempre parlare di “guerre” in senso stretto. Oggi la cosiddetta “guerra” è soprattutto una zona di tensione permanente, dove si combatte sporadicamente e soprattutto attraverso atti terroristici o di guerriglia. La guerra-guerra, quella dove gli eserciti si scontrano e la vittoria si misura in conquiste territoriali, è sempre più rara. La guerra-guerra in senso classico prevede, tra l’altro, che qualcuno invada il territorio di qualcun altro, in genere per conquistare un vantaggio materiale di qualche tipo. Ma l’ultimo caso – vado a memoria – sono gli israeliani che entrano in Libano da sud, nel 2006. E non cercavano vantaggi materiali, né di sottomettere il Paese: volevano solo che una forza terroristico-governativa (un assurdo che oggi è possibile) la smettessa di tirargli addosso razzi in un regime di pace, o semi-pace, o mezza-pace. L’invasione andò male, gli israeliani non sapevano come uscirne e quello che cent’anni fa si sarebbe risolto con un congresso e la creazione di qualche cuscinetto, oggi è diventata la missione Unifil, costosissima e alla quale partecipano anche soldati del tutto estranei alla vicenda, come gli italiani. Laggiù, a questo punto, sarebbe tornata la pace.
• Israele è uno dei fattori di pericolo mondiale.
Una tesi troppo facile. I bombardamenti della notte tra giovedì e venerdì vengono dopo un lancio di razzi sulle città israeliane, soprattutto Sderot, che durava da settimane. Giovedì la polizia egiziana ha intercettato nel Sinai decine di missili terra-aria e anticarro destinati ad armare Gaza. Una guerra con Hamas è purtroppo di nuovo possibile, la rende più difficile solo l’ostilità occidentale. In questo momento i rapporti tra Israele e Stati Uniti non sono buoni, e questo è un deterrente. Però solo sul lato occidentale. I palestinesi, invece, possono sentirsene incoraggiati e approfittare della difficoltà diplomatica di Israele.
• Se io le chiedessi: pigliamo un termomentro e misuriamo la febbre da guerra del mondo, lei che cosa risponderebbe? E, intanto, quale sarebbe il termometro?
Un buon termometro potrebbe essere quello del traffico d’armi. Parlo delle cifre ufficiali. L’Istituto Sipri – un centro studi svedese, la sigla significa Stockholm International Peace Research Institute – certifica che negli ultimi cinque anni le vendite di armi sono aumentate in generale del 22 per cento. Quindi il Pianeta non lo dice, ma pensa alla guerra. I principali esportatori sono Stati Uniti, Russia, Germania, Francia. L’Italia – un tempo al secondo posto – nel 2008 era ottava e nel 2009 dovrebbe aver guadagnato qualche posizione: il suo export è aumentato del 61% (dato della Presidenza del Consiglio). Il vero termometro però non lo fornisce chi vende, ma chi compra. Qui troviamo al primo posto sempre gli Stati Uniti (acquisti per 607 miliardi di dollari nel 2008, cioè il 40% delle armi in vendita nel mondo). E al secondo, per la prima volta, la Cina con 85 miliardi. Dal 2000 a oggi i cinesi hanno incrementato ogni anno del 10 per cento la spesa per armamenti, e annunciato solo quest’anno una piccola frenata: spenderanno appena il 7% più dell’anno scorso. Se scorriamo la classifica delle top ten, troviamo al decimo posto l’India, con 30 miliardi di dollari. Questi numeri ci indicano con chiarezza una zona di grande tensione: quella dei confine tra India e Cina, le due potenze da un miliardo e mezzo di abitanti.
• Sta dicendo che potrebbe esserci una guerra tra questi due paesi?
L’Indian Defense Review, una pubblicazione molto prestigiosa, la prevede entro il 2012. Se si guardano gli investimenti militari, bisogna dire che New Delhi ci crede: hanno aumentato il loro budget del 70% in cinque anni. I cinesi adoperano il Pakistan come elemento di provocazione continua. Potrebbe esserci una guerra India-Cina mascherata da un’altra guerra India-Pakistan.
• Altri punti di tensione?
Venezuela-Colombia. Le spese militari nell’area – dice il Sipri – sono aumentate del 150 per cento. Chávez compra con i soldi del petrolio. I colombiani con quelli della droga. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/4/2010]