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 2010  aprile 30 Venerdì calendario

La chiazza di petrolio si sta avvicinando alle coste della Louisiana, praticamente è già arrivata, ed entro il week-end…• Ho visto qualcosa in televisione, riprese dall’alto eccetera

La chiazza di petrolio si sta avvicinando alle coste della Louisiana, praticamente è già arrivata, ed entro il week-end…

Ho visto qualcosa in televisione, riprese dall’alto eccetera. Ma che è successo?
Nel Golfo del Messico c’era una piattaforma petrolifera da 600 milioni di dollari che la svizzera Deepwater Horizon aveva affittato alla BP (British petroleum) per cavare petrolio a una profondità notevole, 1.500 metri, un pozzo che si chiama Macondo come il magico villaggio di Cent’anni di solitudine. Il 20 aprile, per ragioni che devono ancora essere chiarite, la piattaforma è esplosa, uccidendo undici uomini. Il petrolio ha cominciato a fuoriuscire. S’è formata una chiazza che ha rapidamente raggiunto le dimensioni di New York e che oggi è grande come Piemonte, Lombardia e Veneto messi insieme. 74 mila chilometri quadrati, una circonferenza di 970 chilometri con un fronte di 160 chilometri e nel punto di maggior ampiezza di 70. All’inizio ci è stato spiegato che l’esplosione aveva provocato due falle nel sistema di tubazione che corre sotto il mare e che la fuoriuscita di petrolio era di mille barili al giorno. Adesso si parla di tre falle e di una fuoriuscita di cinquemila barili.

Come si ferma una roba simile?
Oltre a 500 uomini, 32 navi e 5 aerei, sono giunti sul posto, mandati dal Pentagono, quattro robot dotati di bracci meccanici. Sono automi capaci soprattutto di scendere a profondità proibitive e di filmare quello che vedono. Sono sicuramente in grado di stringere o bloccare un bullone. Operazione però troppo semplice per un problema assai complesso. I quattro robot non sono in pratica serviti a niente. Esistono sottomarini con braccia meccaniche che potrebbero scender giù e applicare certi giunti speciali autoaderenti e così sigillare le falle. Ma sono costosissimi e, nel mondo, non ce ne sono più di venti. Un altro sistema possibile sarebbe quello di costruire una cupola sottomarina e di farle inglobare il petrolio impedendogli così di finire in acqua. Però per costruirla ci vogliono quattro settimane come minimo. Altra strada percorribile: una bara di calcestruzzo, con la stessa funzione. L’unico sistema che sembra davvero promettente è quello degli incendi controllati. Due imbarcazioni della Guardia costiera e della BP hanno prima isolato un pezzo di macchia con barriere gonfiabili ignifughe, poi l’hanno trainata in un punto lontano e le hanno dato fuoco. L’incendio è durato un’ora e ha apparentemente distrutto tra il 50 e il 90 per cento del petrolio. Solo che l’operazione ha rilasciato in cielo fumi micidiali e in mare detriti di fango. Non so se è la soluzione più consigliabile.

Mentre si fanno tutti questi tentativi, la macchia avanza verso gli Stati Uniti.
Sì, sta arrivando in Louisiana. Sono stati piazzati 30 chilometri di barriere, ma secondo il governatore dello Stato, Bobby Jindal, è una misura ancora insufficiente. Il pericolo maggiore è che il petrolio penetri nel Mississippi e inquini le paludi dove vivono ogni sorta di uccelli acquatici e rare specie di altri animali. In questa zona ci sono parchi di ostriche e frutti di mare, è praticamente la riserva di pesca degli Stati Uniti con un fatturato annuo di quasi due miliardi e mezzo. Soffiano venti da sud-est, il greggio potrebbe entrare nel delta del fiume già stasera. Gli esperti dicono che il petrolio nel fiume non potrà essere ripulito.

Significa che il Mississippi sarà rovinato per l’eternità?
Non per sempre, ma per molto tempo sì. Il greggio, una volta in acqua, si organizza a strati, ognuno di spessore diverso. Proprio questa diversità favorisce il formarsi di banchi che vengono poi divisi e trascinati in una direzione o nell’altra a seconda dei venti. Le frazioni più volatili evaporano subito, altre avvelenano la parte superiore dell’acqua, uccidendo molti organismi e venendo neutralizzate dall’ossidazione biochimica indotta da batteri, funghi e alghe. La parte più pesante del petrolio a un certo punto affonda e difficilmente si degrada.

Obama come intende intervenire?
Il presidente ha detto che bloccare la marea nera è la priorità numero 1. Ma si trova in un forte imbarazzo: meno di un mese fa ha cancellato il divieto a trivellare sotto costa, una decisione in linea con le promesse elettorali dei suoi avversari repubblicani, McCain e Sarah Palin. Gli ecologisti gli hanno subito dato addosso. Si può immaginare quale campagna ambientalista gli si scatenerà contro dopo il disastro del pozzo Macondo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 30/4/2010]