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 2010  luglio 25 Domenica calendario

C’è questa faccenda del’acqua, abbastanza clamorosa: 1.401.492 italiani hanno firmato in favore di tre referendum che vogliono impedire la privatizzazione del settore, un numero di sostenitori mai raggiunto in nessuna consultazione del passato, neanche in quella relativa al divorzio di quasi 40 anni fa

C’è questa faccenda del’acqua, abbastanza clamorosa: 1.401.492 italiani hanno firmato in favore di tre referendum che vogliono impedire la privatizzazione del settore, un numero di sostenitori mai raggiunto in nessuna consultazione del passato, neanche in quella relativa al divorzio di quasi 40 anni fa. Risultato tanto più notevole, se si pensa che sono contrari a questa consultazione sia a destra che a sinistra, infatti i quesiti riguardano due provvedimenti, uno approvato dal centro-sinistra, l’altro dal centro-destra.

Non sapevo nemmeno che in Italia l’acqua fosse privata. Ma è possibile?
Piano, piano. Dice l’economista Antonio Massarutto: «L’acqua è un dono di Dio, tuttavia Dio ha donato l’acqua, ma non i tubi e i depuratori: a quelli dobbiamo pensarci da soli». Sia nel decreto legislativo del centro-sinistra (2006) che nella legge Ronchi del centro-destra si afferma infatti che l’acqua è un bene pubblico, ma che la sua gestione è affidata o a società miste pubblico/privato (centro-sinistra) o a società interamente private (centro/destra, cioè la legge Ronchi). I referendari chiedono l’abrogazione integrale della legge Ronchi, e la cancellazione degli articoli 150 e, parzialmente, 154 della legge del 2006 (centro-sinistra), in modo che si possa ripubblicizzare la gestione dell’acqua e vietare in ogni caso di far profitti su un bene comune.

Ma perché la gestione dell’acqua è finita in mani private? È questo che mi risulta difficile da capire.
Il legislatore – sia di sinistra che di destra – ha sempre risposto a questa domanda con l’argomento che lo Stato o gli Enti pubblici non hanno mai saputo far funzionare il sistema. Si portano soprattutto gli esempi relativi agli sprechi. Il 37% dell’acqua potabile viene persa nel tragitto dalla fonte al rubinetto (in Germania è il 6%) per un danno economico annuo stimato in due miliardi e mezzo di euro. Dice Alberto Mingardi, economista favorevole alla presenza dei privati e contrario al referendum: ««Il bene comune può essere il peggior nemico del buon senso. Chi infatti abbia un po’ di buon senso non può difendere uno status quo che ci vede, sulla media nazionale, prelevare 165 litri d’acqua per erogarne 100. I dati Istat sulla dispersione idrica fotografano da anni una situazione preoccupante, soprattutto in alcune regioni del Sud, dove per distribuire 100 litri di acqua debbono esserne addirittura captati altri 100. Perché l’acqua sia un “diritto fondamentale”, ovvero perché l’accesso alle risorse idriche sia effettivamente a disposizione di tutti, è davvero indispensabile che essa venga sprecata così?». Sul Sole 24 Ore del 7 luglio è apparsa una lettera di frondisti del Pd, contrari al referendum e riuniti sotto la sigla AcquaLiberAtutti: si parla del pericolo di un ritorno al passato e del fatto che rendere di nuovo pubblica la gestione comporterebbe il varo di una tassa per l’acqua che «né i contribuenti né le imprese possono permettersi. La capacità di gestione e di intervento sulle reti sarebbe minimizzata, a causa dell’ingresso delle voci di spesa all’interno del Patto di stabilità ed i comuni non riuscirebbero ben presto ad assicurare un servizio efficiente in tutti i suoi punti».

Che rispondono i referendari?
La tassa sull’acqua la paghiamo già, si chiama «remunerazione del capitale investito», è pari al 7 per cento degli investimenti e nella sola provincia di Roma vale settantacinque milioni di euro l’anno. La vittoria del sì al terzo quesito l’abolirebbe. Viene ricordato il caso di Aprilia, dove Acqualatina, la cui proprietà è al 49 per cento della multinazionale francese Veolia, ha aumentato le tariffe anche del 300 per cento (le famiglie si difendono con un’autoriduzione di massa). Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente: «È assurdo obbligare a privatizzare anche quando la gestione pubblica ha funzionato. E così come siamo messi i privati si prenderebbero solo le cose che vanno già bene, i gioielli di famiglia, lasciando irrisolte situazioni gravi come Agrigento dove bisogna ancora portare l’acqua nelle case degli abitanti». L’Acea, pubblica, fondata dal grande sindaco di Roma Ernesto Nathan nel 1907, realizzò il sistema di acquedotti che ancora oggi garantisce alla capitale la migliore acqua del paese. L’ha privatizzata Rutelli nel 1997.

I comuni guadagnerebbo qualcosa dall’ingresso dei privati?
Le sole Roma, Torino, Milano, Genova, Bologna porterebbero a casa due miliardi entro il 2013 se la legge Ronchi restasse in vigore.

Non ho capito la posizione del Pd.
Bersani ha dichiarato simpatia per i referendari, ma ha firmato solo il referendum contro la legge Ronchi. Franceschini ha firmato tutte e tre i referendum. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 25/7/2010]