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 2010  luglio 28 Mercoledì calendario

Ieri il senatore Marcello Dell’Utri, convocato per un interrogatorio dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, se l’è cavata con una seduta di pochi minuti: ha comunicato che non aveva nessuna intenzione di rispondere alle domande, quindi s’è alzato e se n’è andato

Ieri il senatore Marcello Dell’Utri, convocato per un interrogatorio dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, se l’è cavata con una seduta di pochi minuti: ha comunicato che non aveva nessuna intenzione di rispondere alle domande, quindi s’è alzato e se n’è andato.

Lo può fare?
Lo può fare. Esiste anche la formula: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Balducci, con i giudici di Firenze, ha fatto lo stesso. Ai cronisti, fuori dal tribunale, Dell’Utri ha dato una spiegazione tutta tecnica: «A Palermo 15 anni fa ho parlato 17 ore e sono stato rinviato a giudizio sulla base della mie dichiarazioni. Ho imparato da allora». Poi ha aggiunto: «Sono un indagato provveduto. Mi sono avvalso della facoltà di non rispondere, che reputo una regola fondamentale dell’indagato provveduto. Consiglio a tutti gli altri di fare come me».

E la verità da accertare?
Spetta agli inquirenti. E l’indagato è sempre innocente fino all’ultima sentenza che lo condanna. I giornalisti sono rimasti sorpresi perché ieri, invece, Denis Verdini è rimasto sotto nove ore. Oggi le agenzie riferivano che l’interrogatorio non ha soddisfatto i pm. «La sua spiegazione non corrisponde al contenuto della nostra informativa che è alla base dell’inchiesta». Una strana pretesa: quando mai la versione dell’indagato coincide con quella di chi lo accusa?

Di che inchiesta si tratta? Sa che ho perso il conto?
Di quella classificata ormai come P3. Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino che tramavano perché la Corte costituzionale si pronunciasse in un certo modo, perché a governatore della Campania andasse chi dicevano loro, eccetera. Una società segreta, secondo la Procura. Che però non ci fa vedere gli elenchi con gli iscritti e a questo punto ci vorrebbe qualcosa di più rilevante, penalmente parlando, dato che in galera ci sono due persone, cioè il vecchio Flavio Carboni e Lombardi. I giudici forse sentono che la situazione può diventare imbarazzante, perché ieri, non richiesti, hanno spiegato che Carboni e Lombardi restano dentro perché la loro rete di conoscenze e relazioni è troppo vasta.

Politicamente il comportamento di Dell’Utri complica o semplifica la situazione nel Pdl?
Credo che sposti poco o niente. Da ieri è ufficialmente indagato, sempre per la storia della società segreta, anche il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. Caliendo era presente alla famosa cena di palazzo Pecci Blunt a Roma, nella quale si sarebbero discusse col padrone di casa Verdini le strategie per salvare il lodo Alfano, nominare il giudice Marra alla Corte d’Appello di Milano e ricorrere in Cassazione per rintuzzare l’ordine di custodia cautelare emesso a Napoli contro Cosentino. Caliendo ha detto di essere rimasto a casa di Verdini non più di mezz’ora e di non aver «mai contattato né fatto elenchi di giudici della Corte costituzionale favorevoli o contrari al lodo Alfano». Lombardi, a suo dire, sarebbe un millantatore. No, tutto il groviglio giudiziario, a questo punto, aggiunge poco alle difficoltà del Pdl. In astratto i nuovi indagati, le nuove accuse, soprattutto se non troppo solide, dovrebbero indebolire i nuovi amici dei magistrati, cioè i finiani. In realtà la partita si gioca tutta nella testa del capo Berlusconi e del cofondatore Fini. La confusione è ben rappresentata dai giornali amici del centro-destra. Il Foglio spera che il punto più alto dello scontro, raggiunto forse l’altro ieri, preceda la necessaria pacificazione, da Ferrara auspicatissima (secondo l’Elefantino la diversità di Fini arricchisce il centro-destra e il Cavaliere deve rassegnarsi al fatto che, dopo la fusione del predellino, il Pdl è ormai un partito con tutti i crismi, quindi con l’opposizione e le correnti interne). Libero, ma soprattutto il Giornale, lavorano per il divorzo e Feltri ha persino giurato che a settembre Casini sarà imbarcato nel governo.

Come finisce?
Non si può sapere. Si stanno muovendo le seconde file, e non troppo brillantemente. Verdini si è dimesso da presidente del Credito Cooperativo «per preservare la banca». Ma per le stesse ragioni, allora, dovrebbe dimettersi da coordinatore del partito! Fabio Granata, il finiano che ha posto la questione morale, non s’è accorto che neanche una condanna di primo grado ha indotto il generale dei carabinieri Giampaolo Ganzer a lasciare il suo posto di capo dei Ros. E il governo, senza che Granata fiatasse, gli ha manifestato solidarietà piena! Perché, se le regole sono queste, si dovrebbero svegliare dal letargo i probiviri del Pdl? No, ci sono due sole cose certissime nell’attuale situazione del partito. Primo: Fini non se ne andrà mai di sua volontà. Secondo: Berlusconi non ha per ora la minima idea di come buttarlo fuori. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/7/2010]