La Gazzetta dello Sport, 29 luglio 2010
Ieri, a Torino, nella sede della Regione di piazza Castello, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha incontrato il ministro Sacconi, il governatore della Regione Cota, il presidente della Provincia Saitta, il sindaco Chiamparino e i rappresentanti sindacali, tra cui Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti

Ieri, a Torino, nella sede della Regione di piazza Castello, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha incontrato il ministro Sacconi, il governatore della Regione Cota, il presidente della Provincia Saitta, il sindaco Chiamparino e i rappresentanti sindacali, tra cui Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. La riunione era stata convocata dopo l’annuncio che la L0 si sarebbe costruita in Serbia e non più nello stabilimento torinese di Mirafiori. Vale la pena di riferire innanzi tutto quello che ha detto Marchionne nel corso di questo incontro e, ancora, nel pomeriggio quando ha visto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: «La Fiat è pronta a disdettare il contratto nazionale dei metalmeccanici alla scadenza. Ci sono due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate: una è “sì”, l’altra è “no”. “Sì” vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana. “No” vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro. Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità, sapendo che il progetto Fabbrica Italia non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l’Italia verranno ridimensionati. Fabbrica Italia non è un accordo, è un nostro progetto, non è stato concordato né con il mondo politico né con il sindacato. Per questo è incredibile la pretesa che ho sentito più volte rivolgere alla Fiat di rispettare un presunto accordo. L’unico accordo firmato è quello su Pomigliano, sulla cui modalità di realizzazione non esistono preconcetti. Non si fanno gli interessi dei lavoratori usandoli per interessi politici. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell’azienda. Siamo l’unica azienda pronta a investire 20 miliardi nel Paese. Non chiediamo aiuti o incentivi, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare. Assegnare il modello L0 a Mirafiori, com’era stato anticipato a dicembre nell’incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo. La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciali, sia per ragioni industriali. Questa scelta non pregiudica le prospettive di Mirafiori. La gamma dei prodotti prevista nel piano quinquennale del gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione. Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alternative che possono portare lo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzione previsti. Dobbiamo assicurarci che ci siano le condizioni per cui quelli che non sono d’accordo non blocchino la maggioranza dei dipendenti della Fiat. Altrimenti c’è il rischio che il confronto diventi un esercizio totalmente anarchico in cui non si può governare niente. Nel complesso il fronte sindacale appoggia totalmente i piani del Lingotto. C’è un gruppo di sindacati, la maggior parte, che si è allineata alla proposta della Fiat e ci sta aiutando. La democrazia è molto chiara: il 50% vuole qualcosa, il resto segua. Vogliamo governare gli stabilimenti. Questa non è una cosa oscena. Qui in Italia sembra che stiamo parlando della luna. Non possiamo gestire un’azienda un giorno sì e un giorno no. A singhiozzo. Oggi con l’80% della gente e il giorno dopo con il 20. Questo non è un hobby. Faccio vetture e le vetture si fanno al cento per cento e non in parte. I diritti sono basati prima di tutto sui doveri. Vogliamo solo i diritti e i doveri non ce li ricordiamo mai, anche da un punto di vista morale credo che l’ordine sia importante. In questo Paese si fa una grandissima confusione. Parliamo onestamente, i diritti devono essere basati prima di tutto sui doveri».
• Reazione dei sindacati?
I sindacati non vogliono che la Fiat esca da Confindustria e dal contratto nazionale. Epifani ha parlato di nuovo dell’esigenza di trovare un punto di mediazione.
• La Marcegaglia?
Idem: che la Fiat, per favore, non lasci Confindustria.
• I politici?
Hanno fatto finta di aver ottenuto qualcosa. Sacconi auspica che non vi siano gesti unilaterali. Il terrore generale è l’uscita di Fiat da Confindustria e dal contratto nazionale.
• I mercati?
Ai mercati il discorso di Marchionne è piaciuto. Ieri la Fiat ha guadagnato.
• Marchionne vince o perde?
Sindacati, Confindustria e governo, se si mettono tutti insieme, non hanno ancora le fiches sufficienti per andare a vedere il piatto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/7/2010]