La Gazzetta dello Sport, 20 agosto 2010
La guerra in Iraq è praticamente finita: gli americani hanno iniziato a ritirarsi mercoledì notte
La guerra in Iraq è praticamente finita: gli americani hanno iniziato a ritirarsi mercoledì notte. I soldati saranno del tutto fuori dal Paese a fine 2011. Da oggi ad allora 56 mila insegneranno alle forze locali come si organizzano un esercito e una polizia efficienti. Si prevede un massiccio arrivo di mercenari dall’Afghanistan: nelle previsioni, polizia ed esercito saranno in mano soprattutto di società private occidentali, in procinto di traslocare a Baghdad.
• Italiani ce ne sono ancora?
Abbiamo lasciato l’Iraq nel novembre del 2006. Attualmente nel Paese ci sono 90 nostri connazionali che hanno compiti di consulenza, formazione e addestramento. Anche dopo il ritiro, il 90% delle truppe straniere presenti in Iraq è costituito da americani. Nel 2003, quando iniziò l’invasione, la coalizione era composta da 48 Paesi. Molti contingenti si sono ritirati prima di oggi: l’anno scorso se ne andarono in venti.
• Quanti morti ci sono stati finora?
Tra gli americani più di 4 mila. Tra gli iracheni decine di migliaia. Bush credeva di aver vinto la guerra con l’arrivo a Baghdad e il 1˚ maggio 2003, due mesi dopo l’invasione, avvisò il mondo che il conflitto era finito. Una pia illusione. La stabilizzazione dell’Iraq è cominciata nel 2007, grazie al generale Petraeus. In quel momento si viaggiava a una media di 100 morti al giorni. Bush poi, nel novembre 2008, quando le truppe combattenti avevano raggiunto la cifra di 150 mila unità, si impegnò a evacuare il Paese entro la fine di agosto 2010.
• Perché Obama ha cominciato il ritiro con 10 giorni di anticipo?
Intanto per ragioni di sicurezza: si trattava di non dare un appuntamento agli shahid, cioè di evitare gli attentati. Non c’era poi nessuna possibilità di prolungare la permanenza nel Paese. John Fisher Burns, inviato del New York Times, ha spiegato: «I leader americani sanno che l’opinione pubblica è contro la presenza militare in Iraq e Afghanistan. Bisogna uscire, anche se sono coscienti che potrebbe derivarne la guerra civile e il caos totale. Uno degli assunti che avanzano i sostenitori del ritiro è che, dopo anni di stragi, gli iracheni hanno imparato sulla loro pelle, e dunque faranno del loro meglio per mettersi d’accordo. Purtroppo mi viene da dire che il futuro potrebbe rivelarsi molto peggiore del passato». Su questo punto ha detto la sua anche Tarek Aziz, l’ex ministro degli Esteri di Saddam Hussein, intervistato dal Guardian il 6 agosto. «L’unica possibilità è che arrivi un altro uomo forte. Forte come era Saddam, cioè».
• Tra chi scoppierebbe, eventualmente, la guerra civile?
Sciiti, sunniti, curdi. Il rischio che il Paese vada in pezzi è concreto. Le elezioni del 7 marzo non hanno indicato un vincitore chiaro. È in corso una trattativa estenuante tra i due ipotetici presidenti, Allawi e Maliki. Il problema è che nessuno vuole andare all’opposizione. E quando dico «nessuno» alludo non solo alle consorterie interne, ma anche ai rappresentanti dei Paesi confinanti. Prima di tutto gli iraniani. Ma poi anche turchi, siriani, arabi. Hoshyar Zebari, ministro degli Esteri nei diversi governi che dalla guerra del 2003 hanno guidato il «nuovo Iraq», ha detto: «Ho cercato di far capire a Washington che se pèrdono l’Afghanistan pèrdono un Paese solo, se pèrdono l’Iraq pèrdono il Medio Oriente. Ma non credo che abbiano capito».
• Quindi Obama non può vantarsi di questo ritiro?
Zebari, che dovrebbe essere un filo-americano, è molto critico col presidente: «Tutto quello che intraprende resta a metà. Nonprocede nel negoziato israelo-palestinese, non in Libano, va male in Afghanistan e Pakistan. Non vedo successi, nonostante il grande impegno». La passività di Washington sarebbe tra le cause che ritardano la formazione del governo: «Se l’amministrazione Obama fosse stata più attiva nel lavorare per una mediazione, oggi probabilmente avremmo già un nuovo governo e saremmo molto meno deboli». Il segno che le cose non vanno bene è nell’aumento della violenza: a luglio i morti sono stati 500, una cifra che non si raggiungeva dal maggio del 2008. Martedì un kamikaze si è fatto esplodere in un centro di reclutamento uccidendo 60 persone. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/8/2010]