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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

Ultimi dati sulla tratta e lo sfruttamento dei minori del Terzo Mondo, per quanto riguarda l’Italia: tra il 2000 e il 2008 sono state aiutate almeno 50 mila persone che si trovavano in Italia perché vittime del traffico di esseri umani; di queste, 986 avevano meno di 18 anni ed erano arrivate qui da sole — alla fine di disavventure inimmaginabili — oppure erano fuggite in Italia da situazioni intollerabili entrando in una clandestinità totale

Ultimi dati sulla tratta e lo sfruttamento dei minori del Terzo Mondo, per quanto riguarda l’Italia: tra il 2000 e il 2008 sono state aiutate almeno 50 mila persone che si trovavano in Italia perché vittime del traffico di esseri umani; di queste, 986 avevano meno di 18 anni ed erano arrivate qui da sole — alla fine di disavventure inimmaginabili — oppure erano fuggite in Italia da situazioni intollerabili entrando in una clandestinità totale. I dati provengono dal ministero per le Pari opportunità che ha adoperato statistiche dell’organizzazione umanitaria «Save the children» («Salvate i bambini»). Secondo questo rapporto i minori stranieri non accompagnati in Italia sono 4.466. Valerio Neri, direttore di Save the Children, immagina che si debbano costituire delle «unità da strada», capaci di intercettare questi infelici «e che, guadagnando la loro fiducia, possano offrire una prima assistenza e orientamento. Spesso i minori presi in operazioni di polizia si sentono criminalizzati e anche per questo scappano dalle strutture protette in cui vengono inseriti».

Credibile?
Mah. È interessante quello che dice Neri subito dopo: «Nel caso di minori stranieri non accompagnati parliamo di ragazzi che si lasciano alle spalle situazioni così difficili da essere disposti a tutto pur di non tornare indietro, e per questo accettano di prostituirsi, di lavorare in nero nel settore orto-frutticolo e della ristorazione, di spacciare, chiedere l’elemosina, compiere attività illegali». Le nazionalità maggiormente a rischio: afgani, egiziani, bengalesi. Il flusso di afgani è prodotto dalla guerra che si combatte laggiù. L’Italia è molto trafficata come terra di passaggio: serve per arrivare nell’Europa settentrionale 2

Lei è al corrente di qualche caso concreto?
C’è un Karim, oggi ventitreenne, tagiko. Venne affidato bambino ai trafficanti afgani, i cosiddetti «polli». Per 250 dollari lo fecero passare per Nimruz, solo una notte di cammino attraverso il deserto, però lungo una strada piena di mine. «Arrivati nella città iraniana di Zabol, venni affidato a un autista. Il mezzo cambia a seconda del prezzo. Io mi sono potuto permettere solo un posto tra altri nove passeggeri in una Peugeot: uno sul sedile davanti, uno accovacciato ai suoi piedi, 4 dietro e tre chiusi nel bagagliaio. Era l’autista a decidere le posizioni, quando e se fermarsi, quando e se farci proseguire a piedi, farci bere, mangiare e il resto. Con un camion avrei pagato meno: cento persone in piedi pigiate nel cassone, sotto un telo. Auto o camion filano a 120-150 all’ora a luci spente in modo da sfondare i posti di blocco. Nel baule della Peugeot non era male, in velocità entrava abbastanza aria».

E in Italia come ci si arriva?
In genere dalla Grecia. Jalil aveva 13 anni, partì da Jaguri, un posto che sta a 80 chilometri da Kabul. Lo avevano affidato ai trafficanti curdi, detti quchakhbar. Per tremila dollari questi lo portarono fino a Istanbul, un viaggio di seimila chilometri. Lo intervistarono a Smirne: «Devo ancora superare questo fiume e poi sono in Europa» (indicando il Mediterraneo). S’è prostituito fino a raccogliere 800 dollari, poi ha comprato un posto su un canotto a remi. «Sempre dritto e arriveremo su un’isola che si chiama Mytiline. Lì saremo in Grecia, in Europa». Anche questa è molto spesso un’illusione. Per gli afgani c’è un campo profughi a Patrasso. Se ci va, vedrà centinaia di ragazzini fermi davanti al porto, dall’altra parte della strada, dietro la ferrovia, che puntano un certo varco tra i cancelli 6 e 7. Sperano di saltare su una nave o su un camion e arrivare in Italia. I poliziotti fanno finta di non vedere. Dall’Italia raggiungerebbero la Gran Bretagna o la Scandinavia. Gli italiani della Polmare li rimandano quasi sempre indietro. È il caso di uno, Seid Mursha, 17 anni, arrivato in Italia sette volte e sette volte rispedito in Grecia. A Patrasso i trafficanti di uomini si chiamano «smugglers».

Ma stiamo parlando di gente che sta in mezzo a noi e che nessuno vede?
Sì, perché quando sbarcano non si rivolgono di sicuro a un centro di assistenza o a un’autorità. Sono dunque destinati al lavoro nero o a prostituirsi o a spacciare droga per strada (attività che adesso viene affidata a minori senegalesi). Il rapporto di ieri dice che sempre più spesso arrivano in aereo, un dettaglio che significa questo: la cifra da rimborsare agli smugglers di turno è più alta. Capita che i soldi versati dalle famiglie per garantire un arrivo— che so — inNorvegia finiscano a mezza strada, magari durante la tappa italiana. Questo ha conseguenze drammatiche.

Il traffico d’organi?
Lo disse Maroni l’anno scorso, ma gli saltarono tutti addosso. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 23/8/2010]