La Gazzetta dello Sport, 2 settembre 2010
Il discorso di Obama dell’altra sera si può riassumere così: «Ce ne andiamo dall’Iraq, e in generale cercheremo di smetterla con le guerre, perché abbiamo troppi problemi economici all’interno e dobbiamo concentrarci su quelli»
Il discorso di Obama dell’altra sera si può riassumere così: «Ce ne andiamo dall’Iraq, e in generale cercheremo di smetterla con le guerre, perché abbiamo troppi problemi economici all’interno e dobbiamo concentrarci su quelli».
• Gli americani non se n’erano già andati il 20 agosto?
Sì, il 20 agosto era cominciata l’evacuazione, ma l’altra sera, a un’ora impossibile per noi italiani, Obama ha voluto mettere un suggello al ritiro di centomila uomini. La frase chiave è stata: «Non è il momento di celebrare vittorie». Prima ha telefonato a Bush (e lo ha fatto sapere, senza farci sapere però che cosa si sono detti), poi è andato al Walter Reed Medical Center di Washington, cioè l’ospedale del Pentagono dove sono ricoverati i feriti in battaglia, e infine ha raggiunto la base di Fort Bliss, in Texas, dove approdano i soldati di ritorno dall’Iraq. L’insieme di questi movimenti e del discorso è questo: non è il caso di parlare di vittoria, ma si deve ammettere che il sacrificio compiuto dagli Stati Uniti per fare dell’Iraq un paese moderno e democratico è stato enorme. Ricorderà che in campagna elettorale, Obama aveva duramente attaccato Bush per le guerre. Adesso ha preso una posizione più conciliante: ci sono 4.400 soldati americani morti e decine di migliaia di feriti. Non si può mancare di rispetto a questi infelici. Quindi, Barack s’è presentato con un discorso equilibrato, prudente, che ha infatti scontentato i pacifisti (i quali non riconoscono più il loro Obama) senza tirare dalla sua parte i repubblicani, sempre più scatenati contro il “presidente delle tasse”. A novembre si vota e i pronostici dànno Obama perdente. Questo significa che il presidente avrà un Congresso nemico, che gli renderà la vita ancora più difficile, per esempio mettendosi di traverso ad ogni idea di nuove tasse.
• E l’Afghanistan?
Ha confermato che il ritiro comincerà la prossima estate. Ha detto che l’obiettivo è riconsegnare il Paese agli afgani, così com’è stato riconsegnato l’Iraq agli iracheni. Una macabra ironia della sorte ha fatto sì che queste assicurazioni arrivassero al termine della settimana più tragica per gli americani: 22 morti in cinque giorni, il bilancio peggiore dall’inizio della guerra.
• Il fatto che il ritiro sia avvenuto anche per ragioni economiche è stato esplicito?
Sì, Obama ha detto che il ritiro era indispensabile «per spostare risorse verso il rilancio dell’economia, la priorità assoluta». Prolungo questo discorso e vedo che tra qualche anno gli americani non potranno più permettersi di fare il gendarme del mondo. Mi domando chi sosterrà allora i costi della nostra sicurezza, dato che un pianeta pacificato è purtroppo impossibile da immaginare. Le faccio notare che Francia e Inghilterra hanno appena deciso di condividere le loro portaerei, un segno dei tempi.
• Tra dieci anni gli americani non saranno usciti dalla crisi?
Sembrerebbe di no, stando ai discorsi che sono stati fatti appena venerdì scorso dal governatore Bernanke. A parte il Pil, che nel secondo trimestre è aumentato di appena l’1,6% contro il 3,7 del primo trimestre; a parte il numero di disoccupati, ufficialmente 14 milioni e mezzo di persone, in realtà secondo tutti almeno il doppio; a parte questo, dicevo, il declino americano è annunciato soprattutto dall’esplosione del debito pubblico, oggi prossimo ai 12 mila miliardi di dollari, cioè pari al 100 per cento del Pil. Una situazione peggiore di quella italiana per tre motivi: sono indebitate per il 130 per cento del loro reddito anche le famiglie; il Pil americano è fatto per un buon 70% di consumi e non di prodotti (quindi poco sollievo, per esempio, dalle esportazioni); l’indebitamento è quasi tutto con l’estero, e in particolare con cinesi e sauditi. Nel suo discorso di venerdì, Bernanke ha fatto capire che una soluzione al problema della crisi potrebbe essere la fabbricazione di carta moneta, cioè la creazione di inflazione che anneghi il debito deprezzando il dollaro. È una mossa però che i cinesi potrebbero non permettere: c’è un enorme quantità di debito è in mano loro e dal loro punto di vista creare inflazione equivarrebbe a una truffa.
• Non è troppo triste questa agenda di Obama? Non potremmo mettergli in conto qualche successo?
Oggi ricomincia la trattativa tra israeliani e palestinesi, voluta fortemente proprio dal presidente americano. Speriamo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 2/9/2010]