La Gazzetta dello Sport, 3 settembre 2010
L’anno scolastico comincerà la settimana prossima, tra il 9 e il 13 settembre, ma si segnalano un po’ dappertutto precari in sciopero della fame o pronti a occupare, iniziative di lotta per non accettare cattedre con più di 18 ore settimanali, annunci di manifestazioni per via dei professori che mancano
L’anno scolastico comincerà la settimana prossima, tra il 9 e il 13 settembre, ma si segnalano un po’ dappertutto precari in sciopero della fame o pronti a occupare, iniziative di lotta per non accettare cattedre con più di 18 ore settimanali, annunci di manifestazioni per via dei professori che mancano. Il ministro Gelmini, nella conferenza stampa di ieri, non ha sicuramente placato gli animi annunciando che i precari non li vuole incontrare.
• Perché non li vuole incontrare?
Perché secondo lei sono manovrati dall’opposizione. «Non occorre strumentalizzare il disagio come stanno facendo in questo momento le forze politiche. Alcuni di quelli che protestano in piazza non sono precari ma esponenti dell’Italia dei Valori». Il ministro ha anche detto: «Ho incontrato i precari tante volte» e ha aggiunto di solidarizzare con le persone che manifestano il loro disagio. Su un punto la Gelmini ha sicuramente torto: non è solo l’Italia dei Valori a darle addosso. La responsabile scuola del Pd, Francesca Puglisi, ha detto: «L’anno scolastico parte con 50 mila classi senza insegnanti, mille e 600 senza presidi, 8 miliardi di euro in meno in tre anni e 170 mila docenti e dipendenti nella scuola pubblica lasciati per strada dopo anni di lavoro. Il resto sono solo chiacchiere e numeri che non hanno riscontro con la realtà». È andato all’attacco addirittura il segretario del partito, Pier Luigi Bersani: «C’è gente precaria nella scuola, che dopo dieci, dodici anni viene mandata a casa. C’è gente che ha fatto il mutuo e ora non sa come pagarlo, gente disperata che va letteralmente a piangere nelle banche. Neanche i padroni delle ferriere fanno quello che stanno facendo Gelmini e Tremonti».
• Che cosa dice la Gelmini?
La risposta della Gelmini è questa: «Il governo non è onnipotente e non può tutto. Siamo in un momento di crisi e occorre razionalizzare le risorse al meglio. Non è possibile che il 97% delle risorse complessive, 43 miliardi di euro circa, vengano utilizzate per gli stipendi. Se vogliamo una scuola di qualità non si può spendere il 3 per cento delle risorse». Il ministro dice che 760 mila docenti «sono più che sufficienti», il taglio vero sui precari sarebbe di 12 mila cattedre, 10 mila l’anno scorso e 2 mila quest’anno. Il resto sono pensionamenti. Infine, la Gelmini ha criticato la protesta in corso: «Che cosa protestano? Non si sa ancora chi è stato escluso dalle supplenze, i nomi non si potranno sapere che tra qualche settimana». Secondo lei, il governo, oltre a tagliare 87 mila cattedre e 42 mila posti di personale non docente in tre anni (2008-2011), starebbe invece facendo tanto per questo personale in difficoltà: un decreto che dà la priorità nell’attribuzione delle supplenze a chi ha perso la cattedra, una serie di accordi regionali che, sfruttando fondi dell’Unione europea, impegnano a scuola una fetta dei precari tagliati. La Gelmini ha sostenuto che «duecentomila precari sono il frutto di decenni di politica in cui si sono distribuiti posti che la scuola non era in grado di assorbire».
• È vero?
È difficile negarlo. La scuola è stata da sempre un enorme serbatoio clientelare, adoperato prima di tutto dalla Democrazia Cristiana, che non lasciò praticamente mai ad altri partiti quel ministero. Gli stipendi sempre meno allettanti hanno favorito la femminilizzazione del settore. Per gonfiare gli organici ci si è inventati i tre maestri nelle elementari. E nello stesso tempo i corsi sperimentali, spesso intitolati a materie tra le più fantasiose. Dico infine che tutti i discorsi che si sono sentiti ieri, da una parte e dall’altra, sono ormai roba vecchia. I tagli a scuola sono stati decisi da Tremonti nel 2008, secondo un piano triennale che teneva conto degli sprechi evidenti in questo comparto dello Stato, della scarsità dei risultati (nelle classifiche Ocse siamo sempre in fondo), e di necessità di bilancio difficili da contestare.
• Come si spiega la faccenda delle 50 mila cattedre che mancano?
La manovra economica di metà anno ha bloccato le assunzioni nella pubblica amministrazione e in un primo momento era parso che la cosa riguardasse anche la scuola. Per esser certi che non fosse così, s’è dovuto aspettare il via libera del Parlamento, arrivato solo a fine luglio. Questo ha fatto scattare con ritardo le procedure per le immissioni in ruolo e, di conseguenza, ha ritardato la lista delle supplenze.
• Immissioni in ruolo? Significa che qualcuno è riuscito a sistemarsi?
Sì, 10 mila insegnanti e 6.500 amministrativi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/9/2010]