La Gazzetta dello Sport, 21 settembre 2010
I piemontesi entrano a Porta Pia
Il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia, si completò l’unità del Paese: gli italiani entrarono a Roma, papa Pio IX si chiuse nella città leonina, il re Vittorio Emanuele II prese possesso del Quirinale, Parlamento e ministeri si trasferirono da Firenze (capitale dal 1865), la città venne ampliata per l’arrivo di tanti impiegati piemontesi, nacque il quartiere Prati, apparvero qua e là i portici di gusto torinese (piazza Vittorio, la stazione Termini)...
• Come mai a un tratto questa rievocazione storica?
Ieri era il 20 settembre. Una cerimonia con Napolitano e il cardinale Bertone ha ricordato l’evento. Napolitano ha voluto chiarire con forza che Roma è la capitale «indiscussa» e tale resterà: «sull’unità nazionale non possono esserci ombre, unità di cui è parte integrante il ruolo di Roma capitale».
• Ce l’aveva con la Lega?
Sì. Il Presidente, fatto proprio ieri cittadino onorario di Roma, ha risposto implicitamente agli ultimi mugugni leghisti, che chiedono una capitale anche al Nord e magari la disseminazione dei ministeri nell’Alta Italia. Molto significativo il discorso del cardinale Bertone: «La nostra presenza a questo avvenimento rappresenta un riconoscimento dell’indiscussa verità di Roma capitale d’Italia anche come sede del successore di Pietro. Gran Dio benedica l’Italia: benedici oggi e sempre questa nazione, assisti e illumina i suo governanti affinché operino instancabilmente per il bene comune. La mia presenza qui è un atto di omaggio verso coloro che qui caddero. Dal sacrificio di quegli uomini e dal crogiuolo di tribolazioni nacque Roma indiscussa capitale dello Stato italiano, il cui prestigio e la cui capacità di attrarre sono mirabilmente accresciuti dall’essere altresì il centro al quale guarda tutta la Chiesa cattolica».
• Beh, non sono frasi un po’ scontate? Che altro avrebbe potuto dire?
Gli uomini di Porta Pia vennero scomunicati, il rifiuto della Chiesa di prender atto di quanto stava accadendo fu totale. Le incomprensioni tra la classe dirigente liberale e quella vaticana duravano da vent’anni. I capi dei conquistatori appartenevano a una classe politica che aveva confiscato conventi e beni della Chiesa e che, una volta giunti a Roma, continueranno nel saccheggio. Non si trattava di anticattolici, come leggo in questi giorni, ma di anticlericali, cioè di nemici del sistema di potere instaurato da preti e da frati. Cavour chiese e ottenne i sacramenti sul letto di morte. L’anatema scagliato dall’altra parte del Tevere sembrava irriducibile. Quindi le parole di Bertone suonano come un riconoscimento definitivo, una pietra tombale su quelle antiche, sanguinose divisioni. Che naturalmente non devono essere dimenticate, per non far torto ai nostri padri dell’una e dell’altra parte. E intorno alle quali si deve continuare a discutere per capir bene chi siamo e da dove veniamo. Come italiani, voglio dire.
• Ma l’unità d’Italia non fa 150 anni l’anno prossimo? Che cos’è questa data sghemba, il 1870?
Quella che si celebra l’anno prossimo è l’unità del Paese come risultò dopo la seconda guerra d’indipendenza (1859) e l’impresa dei Mille (1860). Il nuovo Parlamento proclamò l’esistenza del nuovo Stato con due sedute, una il 18 febbraio del 1861 e l’altra, che si prende impropriamente come data di riferimento, il successivo 17 marzo. Mancavano però ancora, a far l’Italia come noi la conosciamo, il Veneto e il Lazio, cioè lo Stato della Chiesa. Il Veneto ci fu dato nel 1866, alla fine della disastrosa Terza guerra d’indipendenza (Cavour era già morto da un pezzo). Il Lazio, con Roma, fu rapidamente conquistato nel ’70. Non creda che si sia trattato di chissà quale impresa: i francesi, che fino a quel momento avevano protetto il Papa, erano sotto attacco dei prussiani e non avevano certo la forza per difendere la città, che cadde in poche ore. Pio IX volle poi che si sparasse il minimo indispensabile, anzi secondo documenti pubblicati dall’Osservatore romano la settimana scorsa, implorò che quasi non si combattesse affatto. A rigore, in ogni caso, l’unità d’Italia come noi la conosciamo non fu perfezionata neanche nel ’70. Mancava il Trentino, che diventò italiano alla fine della Prima guerra mondiale.
• Ma l’unità d’Italia esiste davvero? Lei ci crede?
Beh, il Paese è unito politicamente. E le differenze tra Nord e Sud sono soprattutto il prodotto delle politiche successive. Bisognerebbe che la Lega se ne rendesse conto. Anche adesso ci sono più differenze tra certe zone di giù che tra il Settentrione e il Mezzogiorno. Il Sud d’Italia non è tutto uguale. Che in ogni caso l’unità sia in pericolo non lo dico io: lo dice il calore e la preoccupazione con cui proprio Napolitano invoca «che non ci siano ombre». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 21/9/2010]