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 2010  settembre 22 Mercoledì calendario

Alessandro Profumo, 53 anni, genovese, sposato e con un figlio, non è più l’amministratore delegato di Unicredit

Alessandro Profumo, 53 anni, genovese, sposato e con un figlio, non è più l’amministratore delegato di Unicredit. Si è dimesso ieri – con una lettera – prima che il consiglio d’amministrazione straordinario, convocato per le 18, lo sfiduciasse. Profumo era in Unicredit dal 1994, quando la banca si chiamava ancora Credito italiano. È stato lui a trasformare Unicredit in un grande istituto internazionale: nel 2005 acquisì, per incorporazione, la tedesca Hvb. Oggi Unicredit è la prima banca italiana e la quinta in Europa, presente in 22 paesi, con asset per circa mille miliardi di euro e diecimila filiali. Un impero dove si parlano 18 lingue.

Tra cui il tedesco. Ho sentito che sarebbero stati i tedeschi a mandarlo via.
Il presidente dell’istituto è Dieter Rampl, che ha assunto momentaneamente, insieme con i quattro vicedirettori, le deleghe (cioè i poteri) che erano di Profumo. Sapremo l’intera verità su questa vicenda solo tra qualche anno. Per ora, le spiegazioni che circolano sono queste: gli azionisti tedeschi erano molto irritati con Profumo perché l’ingresso nell’azionariato di Gheddafi è stato fatto a loro insaputa; la Lega è a sua volta irritata con Profumo per via dei libici e per timore di un disinteresse della banca per i territori in cui è storicamente radicata (Piemonte e Veneto); Profumo, assai brillante in tutto il periodo dell’ascesa (Hvb e tante altre acquisizioni), s’è trovato in difficoltà allo scoppiare della crisi: ha chiesto denaro agli azionisti e ha drasticamente ridotto il dividendo, passato dai 26 centesimi del 2007 ai 3 del 2009; infine il valore del titolo è precipitato: dai 6 euro di un tempo ai 2 euro attuali, passando per un momento in cui lo si dava via a 0,6 (lo scorso marzo). Quindi i tedeschi c’entrano – come dimostrano anche gli ultimi articoli della Süddeutsche Zeitung -, ma non sono i soli nemici del banchiere.

Ma Gheddafi ha adesso in banca tutto questo potere? Quante azioni ha?
Bisogna spiegare come è fatto l’azionariato di Unicredit, cioè chi possiede la banca e con quali quote. Si deve intanto sapere che il 68% del capitale è in Borsa, cioè a disposizione di tutti noi che, sborsando un paio di euro ad azione, possiamo a nostra volta diventare, per un microscopico pezzetto, padroni di quel colosso. Il restante 32% può essere diviso in tre blocchi: soci stranieri, fondazioni bancarie italiane, privati. Le fondazioni sono istituti senza fine di lucro, sorti sulle ceneri delle vecchie casse di risparmio a capitale pubblico. Possiedono poco più di un terzo di Unicredit, l’11,78%. I soci privati, cioè le famiglie Pesenti e Maramotti, hanno l’1,60. La maggioranza di quel 32% è dunque in mano straniera. I libici, attraverso Libyan Investment Authority e Central Bank of Libya, hanno poco più del 7,5%, il fondo saudita Aabar ha un altro 5 e infine un 6,06 è in mano ai tedeschi di Allianz e degli americani di BlacRock. Quindi, Gheddafi, in termini di controllo azionario, è il più forte perché il mare di azioni che naviga in Borsa ed è a nostra disposizione non esprime consiglieri. I piccoli azionisti come noi, cioè, non contano niente. Gheddafi, come forse saprà, è arrivato a questo 7,5% incrementando la sua quota negli ultimi tempi, incoraggiato proprio da Profumo che, dopo aver fatto varare due aumenti di capitale, non poteva chiedere altri soldi agli azionisti.

E perché non ha avvertito i tedeschi di quello che stava succedendo?
I libici hanno incaricato la stessa Unicredit di comprare le azioni per loro. La legge Draghi, all’articolo 134, impone agli istituti che si occupano di operazioni come questa a mantenere il segreto assoluto. Se Profumo ne avesse parlato a Rampl e questi poi lo avesse detto a qualcun altro, la responsabilità penale sarebbe stata sempre di Profumo.

Come mai la televisione ha detto che a far la guerra a Profumo è stata soprattutto la Lega?
Tra le fondazioni proprietarie ci sono la Cariverona e la Cassa di Risparmio di Torino. Piemonte e Veneto, cioè Lega. Ieri il sindaco di Verona, Tosi, ha dichiarato: «Chi sbaglia paga». Del resto subito dopo la vittoria elettorale, Bossi aveva dichiarato di voler mettere le mani sulle banche. Una delle maggiori preoccupazioni espresse dagli osservatori riguarda proprio l’eventuale ritorno dei politici sul sistema del credito.

È vero che gli azionisti si sono indignati perché Profumo (interista) ha dato un mucchio di milioni alla Roma per prendere Borriello?
Penso che, se esiste, si tratti di un’indignazione fuori luogo. Quella di Borriello è stata un’«acquisizione a titolo temporaneo e gratuito, con obbligo di riscatto per l’acquisizione a titolo definitivo». I 10 milioni più Iva che spettano al Milan per Borriello saranno pagati a partire dal settembre 2011 in tre anni. Nel frattempo la Roma sarà venduta. Quel costo perciò peserà sul portafoglio del nuovo proprietario. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 22/9/2010]